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acr:convegno_20061210

Ma chi sono questi ragazzi?

voci e immagini a tutto campo sul mondo dei ragazzi

Intervento di Anna Oliverio Ferraris, docente di psicologia dello sviluppo all'università La Sapienza di Roma, al Convegno Nazionale Educatori ACR svoltosi a Roma dall'8 al 10 Dicembre 2006

Testo non rivisto dall'autore


Se si vuole tratteggiare una sorta di fotografia dei bambini di oggi, è necessario cominciare con il mettere insieme una serie di elementi:

  • nascono in un periodo di benessere economico,
  • ricevono più di un tempo cure, cibo, abiti, medicina preventiva, sport,
  • viaggiano, hanno una apertura sul mondo decisamente superiore a quella che avevano i bambini del passato,
  • hanno un rapporto col proprio corpo più sereno, sono molto disinvolti, e meno timidi,
  • attraverso la tv e internet vengono raggiunti da un numero enorme di informazioni. Se nei tempi passati il problema era di non avere abbastanza informazioni, oggi forse ce ne sono persino troppe,
  • dispongono di moltissimi giocattoli, di tecnologie molto sofisticate fin da piccolissimi,
  • c'è una letteratura per ragazzi molto ampia: libri, giornali apposta per loro,
  • ci sono programmi televisivi, non solo per i più grandi ma anche per i piccolissimi.

C'è insomma un'attenzione fortissima nei confronti dei più giovani, il che, ovviamente, ha degli aspetti positivi e stimolanti.

Ma c'è anche l'altro lato della medaglia.

Se valutiamo il rapporto con il cibo, vediamo che oggi c'è una grande varietà di alimenti e che nessuno nel mondo occidentale muore di fame. Però c'è anche un forte aumento dell'obesità infantile, che rappresenta una grossa insidia per la salute, comporta infatti il rischio di malattie fisiche e una serie di problemi psicologici, sia nell'infanzia che in seguito.

C'è anche un aumento dell'anoressia, soprattutto tra le ragazze, che fino a qualche anno fa iniziava intorno ai 17-18 anni e che adesso può già comparire a 11-12 anni, qualche volta perfino a 9-10.

L'incremento di questi disturbi alimentari è dovuto ovviamente a vari fattori: l'obesità ad esempio deriva non soltanto dal fatto che i bambini mangiano cibi trash, che vengono reclamizzati dagli spot, ma anche dalla vita troppo sedentaria che conducono i bambini.

Basta citare l'esempio delle Isole Fidji, dove con la comparsa della televisione nel corso di 10 anni, si è registrato per la prima volta il disturbo alimentare dell'anoressia tra le ragazze, che prima non esisteva assolutamente.

Le bambine che guardano la televisione si ispirano infatti alle modelle, alle veline e incominciano a preoccuparsi per la linea in un'età precoce, magari già a 5-6 anni, relativamente alla quale dovrebbero soltanto pensare a giocare.

Le tecnologie: ci sono videogiochi divertenti, istruttivi, intelligenti, infatti non tutti i videogiochi sono violenti.

Sono però diminuiti notevolmente, fin quasi a scomparire completamente in alcune zone, quegli spazi in cui fare i classici giochi di movimento, giochi spontanei, non guidati sempre da qualcuno.

I bambini di oggi sono guidati quasi per tutto il giorno a scuola e a casa, mentre i giochi spontanei sono molto importanti per la crescita fisica, ma anche psicologica. Sono loro infatti che inventano, sviluppano la socialità trovandosi insieme agli altri, affrontano l'imprevisto e l'ignoto che è estremamente importante nell'infanzia.

Hanno questi giocattoli ipertecnologici che fanno tutto loro, ma in definitiva non giocano abbastanza, non fanno quei giochi che dovrebbero fare.

Dobbiamo essere attenti a non far sì che la televisione diventi totalizzante, perché le emozioni si possono vivere in tanti altri modi, attraverso per esempio una musica attiva fatta a scuola. Una piccola orchestrina coi bambini anche della scuola materna: ci sono infatti dei metodi collaudati, ad esempio il metodo Orff, in cui i bambini si costruiscono i loro strumenti, scoprono le note, scoprono i ritmi e imparano anche a coordinarsi tra di loro.

Pensate che a Berlino, per combattere il bullismo nelle scuole, hanno adottato la musica, ma attiva. Quindi non soltanto ascolto della musica, ma esecuzione della musica coordinandoti con un tuo compagno. Questo ti costringe a riconoscerlo come persona e sviluppa un certo tipo di sensibilità, favorisce inoltre la concentrazione.

La famiglia: su questo punto non mi dilungo, vorrei però fare qualche piccola annotazione. Se per alcuni bambini di oggi la famiglia è ancora il porto sicuro, è ancora il luogo degli apprendimenti fondamentali, il luogo anche dell'educazione alle emozioni e ai sentimenti, per altri invece la famiglia è diventata molto instabile, imprevedibile, non dà più sicurezza.

Sono parecchi i bambini che si trovano a dover fronteggiare già in tenera età la separazione dei genitori, e magari poco dopo a dover far i conti con un nuovo partner e la formazione di una nuova famiglia. Tutto questo ovviamente richiede un lavoro psicologico da parte dei figli non indifferente, che li distoglie inevitabilmente dalle altre cose.

E anche quando è unita la famiglia, non sempre riesce a tenere una linea di condotta coerente e stabile secondo le necessità dei figli.

Lo stile autoritario è stato giustamente abbandonato, ma molti genitori finiscono poi per cadere nell'errore opposto: troppo permissivismo, trascuratezza, iperprotezione, con genitori molto ansiosi che hanno poco tempo da dedicare ai figli e che quando sono con loro finiscono per iperproteggere, quindi infantilizzare i figli, e non li aiutano a crescere. E' fondamentale che crescendo i figli acquisiscano delle competenze e una autonomia sempre maggiore in vari ambiti.

Qualche volta si combinano tutti e tre questi elementi con tempi e modalità diverse nel corso della vita familiare: permissivismo e trascuratezza dove invece bisognerebbe esercitare un maggior controllo, e iperprotettività dove invece i figli potrebbero benissimo cavarsela da soli e incominciare ad assumersi delle responsabilità, purché ovviamente venga loro insegnato come comportarsi.

Ecco questo eccesso di permissivismo e di buonismo è presente a volte anche a scuola. Ci sono alcune scuole che funzionano bene, però in molte classi gli insegnanti non hanno più autorità, non riescono a stabilire un clima didattico decente, non riescono a esercitare la disciplina, fanno finta di non vedere quello che succede in classe, oppure promuovono tutti per non avere problemi, però tutto questo alla fine non educa i ragazzi.

Molti pensano che ormai i bambini e i ragazzi possano educarsi da soli, che possano scegliere con cognizione di causa in quell'enorme supermercato che è la società dei consumi, in cui siamo immersi tutti quanti e da cui provengono una infinità di sollecitazioni, di messaggi diversi, di informazioni di tutti i tipi. O se non lo pensano, si comportano come se fosse veramente così.

Naturalmente sbagliano, perché un bambino non è un adulto in miniatura, è una persona in crescita con una sua visione particolare del mondo, con delle attese, una mentalità molto diversa da quella di un adulto.

Una cosa infatti è essere informati e una cosa è essere maturi: sono due cose completamente diverse, così come è diversa l'intelligenza dalla maturità, mentre molti li considerano dei sinonimi.

I bambini possono essere anche intelligentissimi per la loro età, possono essere anche molto più intelligenti di noi ed informati su tante cose, ma non essere ancora maturi per poi interpretare nel modo giusto i messaggi che ricevono.

La maturità dipende non solo dalle capacità individuali, ma anche molto dall'esperienza. Quindi le informazioni e i messaggi che ricevono vengono interpretati dal loro punto di vista che è ovviamente parziale, perché la loro esperienza è appena sufficiente e del tutto iniziale su alcune tematiche che non conoscono.

I bambini imparano una quantità di cose per immersione, per imitazione, ma non è detto che colgano i risvolti di queste. Una persona con esperienza, una persona matura sa per esempio che ci possono essere vari piani di lettura di una realtà e che a seconda del contesto un messaggio può assumere significati differenti.

Un bambino non possiede ancora questa complessità di pensiero e tende a prendere alla lettera i messaggi ricevuti, a dare loro un valore assoluto.

L'adulto maturo sa dare un valore relativo a certi messaggi, sa distinguere il vero dal verosimile, mentre per un bambino questo non è possibile, soprattutto se questi messaggi provengono da fonti autorevoli, cioè da personaggi della musica, dello sport o personaggi televisivi che compaiono molto e che, per il solo fatto di comparire, acquisiscono autorevolezza.

Quindi può anche imitare alla perfezione quello che vede o che sente, ma questo non significa che ne comprende tutte le implicazioni: ha imparato ma non ha capito.

E ovviamente neppure intelligenza ed emotività sono sinonimi: io bambino posso capire ma non essere ancora pronto per assorbire una data informazione.

Questo è molto importante e può essere molto pericoloso sul piano affettivo. Per esempio, tutti i bambini arrivano a capire che se i genitori si separano è perché litigano, non vanno d'accordo. Però possono non essere pronti ad assorbire questa esperienza sul piano emotivo, ed è lì che nasce il problema.

Si ripete continuamente che è sufficiente spiegare ai bambini il perché delle cose: se vedono scene molto dure sugli schermi, ci vuole vicino un adulto che le spieghi. Questo però è solo il primo stadio, successivamente bisognerà vedere se lui è in grado di assorbire quella scena sul piano emotivo. E questo è l'aspetto principale, e tra l'altro è il problema che pongono agli psicologi i bambini molto precoci, che capiscono molto prima degli altri, hanno un'intelligenza molto vivace e delle fragilità che gli altri bambini non hanno.

Ecco perché è sbagliato lasciarli senza supervisione di fronte al televisore, perché da quello schermo oggi arriva di tutto. Sappiamo che un buon 50% dei bambini ha il televisore in camera, conseguenza di un malinteso senso di libertà dei genitori.

Ci sono senz'altro dei buoni programmi, ma ci sono anche dei programmi che influenzano in negativo, che trasmettono modelli di comportamento, mode, linguaggi e filosofie di vita non sempre condivisibili.

In certi reality, oppure in Amici programma molto visto anche dai bambini, si insegna per esempio che l'aspetto fisico è la cosa che conta di più in assoluto. Questo passa sia in maniera esplicita che in maniera implicita, e i messaggi impliciti alla fine sono più importanti di quelli espliciti, perché da quelli espliciti ti puoi difendere, mentre da quelli impliciti molto meno.

Altro messaggio: «La cultura è inutile, anzi ridicola», questo messaggio è stato dato ampiamente di recente in Pupe e secchioni.

«La vita è soltanto competizione e per vincere bisogna anche tradire, tradire anche gli amici» ne L'isola dei famosi, ne Il grande fratello c'è sempre questo messaggio ricorrente.

Altro messaggio: «Per raggiungere il successo è lecito qualsiasi mezzo», «L'intimità va esibita, le emozioni messe in piazza. Per andare in televisione bisogna dare spettacolo di sé» …quando invece noi sappiamo che è fondamentale per l'equilibrio psichico di chiunque, soprattutto di una persona che sta crescendo, tenere separato lo spazio pubblico dallo spazio intimo.

Così come è importante crescere non troppo etero-diretti, cioè guidati solo dalle mode, dagli slogan, ma imparare anche ad auto-dirigersi, anche perché abbiamo nella scatola cranica un cervello che è un computer potentissimo e usarlo è più che opportuno.

Si dà per scontato che i bambini guardino i programmi per bambini, ma non è così, perché guardano spesso quelli per i grandi, vogliono capire che cosa succederà a loro di lì a qualche anno, vogliono sapere come comportarsi, come si cresce, su che cosa bisogna puntare.

Anche le pubblicità trasmettono messaggi che vanno al di là del singolo prodotto, trasmettono filosofie di vita, modelli, che rendano lo spettatore compatibile con il prodotto che reclamizzano.

Certamente sarebbe un errore sottovalutare i bambini e i ragazzi, cioè considerarli meno capaci, meno intelligenti di quello che sono. Però è anche un errore considerarli più competenti di quello che sono: la crescita infatti è un processo graduale, e deve essere tale per consentire un'assimilazione progressiva e non traumatica della complessità del mondo in cui viviamo. Il sociologo Sigmund Bauman definisce il nostro “un mondo liquido”, in continuo cambiamento e in continua trasformazione, per cui è più difficile vivere oggi di quanto non fosse cinquant'anni fa, quello era un mondo un po' più stabile, un po' più prevedibile, dove i cambiamenti erano meno veloci.

Il processo di crescita è graduale perché tra ritmi interni (i ritmi biologici della crescita), e ritmi esterni non ci può essere una dissonanza troppo forte, altrimenti un bambino finisce per fare e dire cose per cui non è ancora pronto.

Una bambina di 8-9-10 anni si comporta da Lolita, si veste, si atteggia e così via, perché questo è il modello di successo che gli viene proposto continuamente dagli schermi, però poi c'è il rischio che finisca per mettersi in esperienze che lei non controlla.

Oggi c'è questa spinta all'accelerazione che considera i bambini capaci di fronteggiare qualsiasi vicissitudine dell'esistenza, di adattarsi a qualsiasi ambiente o problema fin dai primi anni di vita, di trattare un enorme numero di informazioni, che vanno completamente al di là della loro capacità di comprensione, e che li si considera anche capaci di fare scelte effettive fin da piccoli.

Se andiamo alla radice del problema ci accorgiamo che in realtà è il mercato che li vuole così: è il mercato che li vuole accelerati per poter vendere loro tanti prodotti in piena autonomia, ed è meglio se gli adulti si sentono inadeguati o confusi perché così non interferiscono e il mercato può collegarsi direttamente ai bambini.

Il che poi è in sintonia con la tendenza ad invertire i ruoli, a considerare i figli oggi più informati e più capaci dei loro genitori. Questa tendenza è visibile tra l'altro in molti programmi per bambini dove i genitori appiano sempre come goffi, imbranati, deboli, privi di autorità e del minimo buon senso.

Vedere ogni tanto questi programmi non crea alcun problema, ma vederli tutti i giorni abitua all'idea che solo i bambini sono in contatto con lo spirito del tempo, i genitori non possono capire, sono troppo indietro, non conoscono le tecnologie.

La realtà però è un'altra: la realtà è che i bambini e i ragazzi hanno bisogno di essere seguiti nel loro percorso di crescita, hanno bisogno di avere accanto qualcuno che li aiuti a decodificare tutti questi messaggi che gli raggiungono in maniera molto disordinata, e hanno anche bisogno di qualcuno che indichi loro dei limiti, ciò che possono fare e ciò che invece non possono fare.

Loro sono portati per istinto a testare continuamente questi limiti e se non trovano una risposta, sono indotti a spingersi sempre più in là, sempre oltre e alla fine finiscono per danneggiare non solo gli altri, ma soprattutto se stessi.

Darsi dei limiti è necessario non soltanto per inserirsi nella comunità, per vivere come un essere sociale e un cittadino, ma anche per difendersi dai propri impulsi esterni, questo è molto importante.

Questo è il messaggio che ci ha dato la psicanalisi: noi abbiamo un'aggressività interna che dobbiamo imparare, nel corso della crescita, a gestire, a tenere sotto controllo. Per esempio, coloro che lavorano in carcere con i detenuti, sanno benissimo che molti di loro sono angosciati dalla paura di non essere sottomessi a nessuna legge interna.

Molti criminali rimproverano l'ambiente in cui sono cresciuti, a volte anche i loro avvocati, per non averli fermati in tempo, cioè per non aver dato loro gli strumenti per evitare il peggio. Non hanno imparato ad incanalare questi impulsi aggressivi trasformandoli in qualcosa di diverso: in grinta, in voglia di fare, in creatività.

Essere consapevole che qualcuno tiene a te e sa che cosa è bene per te, è molto importante per un bambino, per un preadolescente e per un adolescente, anche se nella adolescenza è necessario si compia questo esercizio di contrapposizione.

Il fatto che ci sia un'altra generazione che, al momento giusto, ti fa vedere le cose da un altro punto di vista, è molto importante, dà sicurezza e dà anche coraggio.

Così come dà sicurezza sapere che qualcuno crede in te, che qualcuno crede nelle tue possibilità, ma non ti lascia completamente solo. Ecco uno dei motivi, secondo me, per cui piacciono molto ai bambini certi film e certi racconti fantastici di avventure.

Non è soltanto l'avventura, ma anche perché c'è quasi sempre un vecchio saggio che indica la strada all'eroe, che spesso è un giovane in cui il lettore si identifica.

Questo vecchio lo mette al corrente dei pericoli e delle minacce, gli dà dei consigli, gli trasmette il sapere e la conoscenza che sono molto importanti, ma gli trasmette anche fiducia nelle sue possibilità, gli fa capire che lui ce la può fare.

Questo è un altro punto importante: un ragazzino non sa se vale o no. Nonostante gli atteggiamenti che può assumere, magari per imitazione di qualcun altro, ha bisogno di sentirselo dire, o comunque ha bisogno di sentire che qualcuno lo apprezza, che continua a sostenerlo anche quando sbaglia, qualcuno che rispetti i tempi del suo sviluppo.

Qualcuno che pretenda da te quello che puoi dare, che non è un facile buonista; qualcuno che ti educa all'autonomia, che ti concede dei gradi di libertà sempre maggiori, e che però non ti lascia solo di fronte alle difficoltà.

Questo adulto non può esistere soltanto nel mondo virtuale, non può essere soltanto un personaggio della fiction con cui identificarsi, ma dovrebbe essere necessariamente una persona vicina a lui nel mondo reale.


Ma chi sono questi ragazzi?

voci e immagini a tutto campo sul mondo dei ragazzi

Intervento di Roberto Volpi, statistico all'Istituto degli Innocenti di Firenze, al Convegno Nazionale Educatori ACR svoltosi a Roma dall’8 al 10 Dicembre 2006

Testo non rivisto dall'autore


Vorrei far iniziare questo mio intervento con un apologo: un mitico sovrano di un mitico regno, dopo molte guerre chiamò il suo cartografo e gli disse: “Amico mio, io ho combattuto tutta la vita, ma non conosco il mio regno. Non lo conosco più proprio perché ho combattuto e ho vinto tanto, quindi va', prendi una bella squadra e portami una mappa del mio regno che mi faccia capire il mio regno”.

Il cartografo andò e tornò dopo un paio d'anni con la mappa.

Appena la vide il mitico signore si irritò poiché gli sembrava troppo piccola. Il regno si era ingrandito, mentre la mappa era rimasta piccola.

Cominciò così a dire: “Ma il tale villaggio non c'è? E il castello? E la collina?”, il cartografo disse: “Beh, il villaggio è un villaggio, la collina è una collina…”, “Riparti!”.

Lo rimandò indietro e gli ordinò di fare un'ulteriore carta.

Il cartografo andò e questa volta ci mise quattro anni. Tornò con una mappa molto più grande, ma il sire non era ancora contento: “E il tal ponte? E il tal ruscello? E la fattoria?” Il cartografo disse: “Sì, la fattoria è una fattoria…”.

Lo rimandò ancora una volta a verificare i confini del suo regno, questa volta ci impiegò dieci anni, ma quando ritornò la mappa era enorme. Per srotolarla occorse un intero campo.

Il sire si tolse le scarpe, andò dentro questa mappa e cominciò a dire: “Ma dov'è la mia capitale? Il mio castello? Il mio possedimento tal dei tali?”.

Morale della favola o dell'apologo: a volte per inseguire i dettagli, tutti i dettagli, si perde l'oggetto, si perde proprio la sostanza.

A me sembra infatti che sui bambini e sui ragazzi si stia perdendo proprio la sostanza, e c'è una sostanza che non può più essere dimenticata: siamo diventati una società senza bambini, siamo la società in cui la proporzione dei bambini nella popolazione è la più bassa del mondo.

Per avere una proporzione di bambini al pari dell'Europa dei quindici, che è l'area più povera di bambini, in Italia mancano un milione e mezzo - due milioni di bambini tra zero e i quattordici anni, un milione e mezzo - due milioni di bambini…

Io vengo da Firenze e non ho mai visto un bambino in giro, non ho mai visto una carrozzina. Non ci sono.

Se analizzo la composizione della popolazione di Firenze che cosa scopro?

Su 100 famiglie 42 sono unipersonali, formate da una sola persona e considerate famiglie soltanto all'anagrafe. Nelle restanti 30 non hanno figli, e le altre hanno un figlio solo.

È una povertà estrema, eppure sembra non preoccupare nessuno.

Ma cosa comporta questa povertà di figli?

Comporta che certi processi di crescita con i propri pari, con gli altri bambini, che prima si compivano in un modo del tutto naturale, oggi non si compiono più in questo modo. Prima c'erano i fratelli, che invece vanno scomparendo; c'erano i cugini, che vanno scomparendo; stavi in casa e avevi i bambini che ti attorniavano, andavi da qualcuno e c'erano i bambini, uscivi e c'erano i bambini, oggi si è attorniati da un mondo di adulti, anzi di vecchi.

E quella condizione umana, naturale in cui prima o poi le donne sfociavano, quella di avere un bambino, di allevare un bambino o più bambini, anche questa sta quasi sparendo dall'orizzonte antropologico.

Sta scomparendo al punto che ormai quello dei genitori è definito il mestiere più difficile del mondo, una pietra tombale sui bambini. L'unico mestiere che non da garanzie di riuscita, lo dicono gli esperti: nessuna garanzia di riuscita.

In tutti i mestieri si apprende qualcosa, ci si arricchisce, mentre sembra che rapportarsi con i bambini non porti a nulla. Tant'è vero che abbiamo assistito a questo incredibile processo: sempre meno bambini, sempre più esperti di bambini.

Diminuiscono i bambini e di contro è un proliferare incredibile di specializzazioni sui bambini, a tal punto che ormai i genitori non si azzardano più a interpretare il proprio figlio, hanno paura, pensano che su tutto possono sbagliare e per tutto corrono dall'esperto di turno.

Non cito i dati dell'incredibile aumento del ricorso al pronto soccorso pediatrico.

Noi abbiamo questo incredibile primato: abbiamo i pediatri di famiglia, che dovrebbero essere il primo filtro rispetto all'ospedalizzazione, ma abbiamo anche il primato del ricorso al pronto soccorso ospedaliero pediatrico, cosa che non accade in nessun altro paese europeo.

Una società di questo tipo sviluppa due tendenze:

  1. un formidabile clima di apprensione, di ansia, di insicurezza verso i figli;
  1. una concezione del bambino come centro di tutti i rischi.

1) Io che sono un genitore con due figli grandi, 32 e 30 anni, e una figlia ancora abbastanza piccola, 10 anni, posso fare una valutazione di quanto è cambiato questo mondo nel rapporto con i bambini.

Abito in un piccolo comune vicino a Pisa. I miei primi due figli andavano alla scuola materna delle suore e li portava don Primo, formidabile prete.

Don Primo prendeva questi bambini e li riportava, ma è anche capitato, per tre volte, che il pulmino usciva di strada.

Don Primo infatti andava pianissimo, lasciava strada a tutti. Ma proprio perché andava pianissimo e aveva paura di intralciare, aveva la tendenza a mettersi da parte a tal punto che ogni tanto declinava assieme al pulmino.

Quando non li vedevamo arrivare ci preoccupavamo, ma i nostri figli arrivavano da queste avventure esaltati, contentissimi: «Siamo andati nella fossa! Abbiamo fatto l'autostop!» Era una bellezza, una gioia!

Don Primo oggi verrebbe giustiziato sulla pubblica piazza. Un don Primo oggi non è nemmeno concepibile.



2) La concezione del bambino è mutata dall'essere il centro di tutte le aspettative, di tutte le speranze è diventato il centro di tutti i rischi.

All'Istituto degli Innocenti abbiamo curato e curiamo una rassegna della stampa, di cui leggo alcuni titoli di giornali che riportano ricerche sulla salute dei bambini.

“Asma: ne è colpito un bambino su dieci” … “Un bambino su tre è allergico” … “Un bambino su tre a rischio di colesterolo” … “Sempre più obesi i bambini italiani: a rischio uno su tre”…

“Un bambino su due ha i piedi piatti” … “Uno studente su tre ha i denti cariati” e via, e via, e via, fino a 400 bambini morti in incidenti domestici.

Per altro l'anno a cui si riferisce questo dato, i morti non per incidenti domestici, ma per tutte le tipologie di incidenti, di cause violente, di cause traumatiche, sono stati meno di 400, ma viene indicato 400 soltanto per incidenti domestici…

Ancora: “I bambini stressati si strappano i capelli” … “Le pulizie di casa sono una minaccia per i neonati” … “I neonati nascono prematuri se la mamma cambia partner” … “Se proprio non capisci la matematica, niente ripetizioni, vai dal medico che lui ti cura il disturbo matematico”.

C'è invece una notizia che non passa assolutamente, da nessuna parte, neanche io che sono stato responsabile del Centro di documentazione nazionale non sono riuscito a farla passare su nessun giornale: “La mortalità dei bambini per cause violente è molto diminuita! Anzi è crollata.”

Morivano circa 2.000 bambini agli inizi degli anni 70. Gli ultimi dati sono di 375 casi.

E' vero che nel frattempo sono diminuiti i bambini, ma l'indice o tasso di mortalità per cause violente è un terzo di quello che era nei mitici anni 70, quando dei bambini se ne infischiavano tutti.

Questa concezione del bambino come centro di tutti i rischi è presente nella vita quotidiana, nel tessuto della città.

Vi porto degli esempi: i parchi giuochi sono tristissimi, hanno invariabilmente uno scivolo e un'altalena, non ci si può nascondere mentre il maggior divertimento dei bambini è nascondersi. Non si può manipolare niente e nessun gioco è a fruizione collettiva.

Inoltre davanti a questi parchi giochi c'è una sequenza interminabile di divieti: non si introducono biciclette, non si portano cani, è vietato il pallone.

E poi i divieti degli stessi nonni: “Non ti allontanare!”, “Non correre!”, “Non cadere!”, “Non insudiciarti!”, “Non sudare!”.

I cortili delle scuole chiusi col lucchetto appena finisce la scuola e molto spesso le maestre non mandano i bambini a giocare nei cortili delle scuole, perché potrebbero cadere. Gli stessi regolamenti dei condomini vedono nei bambini dei corpi estranei, che se si potessero eliminare sarebbe meglio per tutti.

Questa è la concezione che si sta consolidando sui bambini in una società senza bambini, in cui non si guarda più minimamente ai bambini con gioia, con serenità, con semplicità, oserei dire.

Qual è il rischio?

I bambini non stanno imparando a esercitare la propria libertà in condizioni di relativa autonomia e quando arrivano a 14 anni - 15 anni, non hanno una vera alternativa alla realtà del “branco”, perché non gli è stato insegnato a fare altro.



Avete una grande responsabilità, vi auguro di avere successo.

Educatori per questi ragazzi

Relazione associativa di Mirko Campoli, responsabile nazionale ACR, al Convegno Nazionale Educatori ACR svoltosi a Roma dall'8 al 10 Dicembre 2006


Carissimi amici,

all'inizio di questo mio intervento vorrei tradurre in parola il saluto affettuoso e sincero che ci siamo già scambiati durante i molti momenti di questo nostro convegno nazionale.

Saluto con forte riconoscenza ciascuno di voi per la presenza così significativa qui a Roma in questi giorni. Siamo stati chiamati a condividere il profondo valore e la grande ricchezza del nostro essere educatori oggi, per questi ragazzi che Dio e la Chiesa continuano ad affidarci. Vorrei che in queste mie parole ognuno di voi sentisse il saluto e la voce di tutti i bambini ed i ragazzi dell'ACR che oggi a voi guardano con forte gratitudine per tutto l'impegno e la passione con cui accompagnate, giorno dopo giorno, la loro crescita umana e cristiana.

Saluto tutti voi che siete qui… ma, nel contempo, vorrei anche che questo mio saluto oggi andasse oltre questa sala, fino ad allargarsi al di fuori di questo luogo in cui ora ci troviamo. Un saluto che vorrei far arrivare, con la stessa intensità e forza, anche a tutti gli altri educatori che non sono ora qui con noi e che in ogni parte d'Italia fanno bella e significativa l'esperienza dell'ACR.

Premessa iniziale

Prima di condividere con voi alcune delle riflessioni che mi stanno particolarmente a cuore, desidero fare una piccola importante premessa che rappresenta lo sfondo su cui, stamattina, proverò a tracciare qualche linea che orienti il nostro pensiero ed il nostro agire. Nell'accingermi a scrivere l'intervento di oggi, infatti, mi è tornato alla mente tutto il mio cammino educativo maturato passo dopo passo nell'associazione, ma anche al di fuori di essa: gli educatori grazie ai quali sono cresciuto, i tanti ragazzi di cui sono stato io stesso educatore, tutte le persone che il Signore mi ha dato la gioia di incontrare e che mi hanno accompagnato fino qui. Tutto ciò mi spinge a vivere ora questo mio intervento con l'animo felice di chi si sente, semplicemente, un educatore come voi… che vive le vostre stesse gioie e le vostre stesse fatiche; che viene da un cammino simile a quello che tanti di voi hanno compiuto tra gli alti e bassi della vita associativa. Come tutti coloro che mi hanno preceduto in questa difficile responsabilità associativa, continuo ad essere e a sentirmi un educatore come voi. Ed è proprio sulla base di questa piccola premessa che stamattina sono qui a parlarvi … partendo proprio dalla mia esperienza di educatore dell'ACR che ancora, in qualche modo, riesco a portare avanti in mezzo ai ragazzi di una piccola parrocchia della mia diocesi.

Ragazzi... che spettacolo !!!

Ragazzi… che spettacolo !!! attraverso questa semplice espressione di stupore e di meraviglia, scelta per dare titolo a questo nostro convegno nazionale, abbiamo voluto raccontare tutta la novità e la bellezza di cui i ragazzi oggi sono portatori.

In un mondo pieno di contraddizioni; in mezzo ad una realtà non sempre facile ed anzi piuttosto complessa, come quella in cui oggi siamo chiamati a vivere, i ragazzi continuano ad essere una grandissima ricchezza ed una splendida risorsa che, tra luci ed ombre, rappresenta quello che senza esagerare a noi sembra un vero e proprio spettacolo per tutta la Chiesa e per il mondo intero. Per questo abbiamo voluto fissare il nostro sguardo su di loro e sulla realtà in cui oggi loro vivono… poiché l'ACR crede davvero nella centralità dei bambini e dei ragazzi, nelle loro potenzialità così uniche e significative; l'ACR è pronta come sempre a scommettere sulla carica di novità di cui sono portatori i più piccoli e sul loro essere protagonisti piuttosto che semplici destinatari del proprio percorso di crescita umana e cristiana. È con questo sguardo che oggi noi educatori vogliamo continuare a guardare ai ragazzi proprio come ad un meraviglioso spettacolo capace di offrirci, in mezzo a tante difficoltà e limiti, importanti segni di speranza che donano senso alle tante vicende che segnano il nostro tempo. Questa attenzione che da sempre l'ACR porta con sé ci spinge, come educatori, ad aver sempre cura della vita di ogni ragazzo perché il mistero di Dio si nasconde nella qualità della relazione educativa… nei gesti e nelle parole che l'accompagnano, nelle esperienze di vita che l'arricchiscono e la rendono significativa.

Sappiamo bene come oggi sia frequente che i bambini vengano considerati non tanto come “soggetti che hanno specifici diritti” quanto piuttosto come “oggetti di pre-occupazione” da parte degli adulti. La mostra sui diritti dei bambini che abbiamo allestito negli spazi del convegno in questi giorni presenta bene tale realtà fatta di diritti importanti che solo in parte hanno trovato risposta concreta ma che, purtroppo, in molti Paesi del mondo restano ancora disattesi. Lo scorso 20 novembre il mondo ha celebrato il quarantasettesimo anniversario della Dichiarazione dei Diritti del Fanciullo e, in contemporanea, anche il diciassettesimo anniversario della Convenzione Internazionale sui Diritti dell'Infanzia. Da più parti è stato messo in risalto il valore di questi documenti, che permettono, soprattutto il secondo che ha un preciso valore giuridico, di avere un valido quadro normativo di riferimento per proteggere e promuovere i diritti dei minori. È però a tutti evidente come la realtà dei bambini e dei ragazzi nel mondo sia caratterizzata ancora da una diffusa violazione dei più elementari diritti. Diritti affermati dunque, ma anche e soprattutto diritti che continuano ad essere negati.

Pur registrando una sostanziale sensibilità nei confronti dei ragazzi, del loro mondo cognitivo ed affettivo, oggi si vede all'orizzonte un nuovo rischio: quello di considerare i piccoli esclusivamente come un prodotto costruito sulle attese e i desideri dei più grandi. La vita dei ragazzi, infatti, è sempre più spesso riempita da una serie di attività che, in gran parte, vengono scelte e dettate dagli adulti… fino a saturare completamente il loro tempo, limitando se non addirittura annullando quei margini di libera espressione e di creatività tipici della loro età. I problemi dei ragazzi oggi sembrano paradossalmente provocati in larga misura dall'aumento di uno sbagliato interesse verso di loro… un interesse e un'attenzione distorta che non li mette davvero al centro, che non presta attenzione ai valori del loro mondo, ma che cerca solo di assisterli e molto spesso di sostituirsi a loro.

Se prima i bambini venivano avvicinati alla cultura e alle informazioni in modo graduale, oggi essi vengono “bombardati” in modo incontrollato da una massa di dati e di notizie. Le informazioni vengono offerte alla percezione libera e continua di grandi e piccoli, operando una pericolosa omologazione. Davanti a questo scenario vediamo come la famiglia e la scuola stentano ad avere un efficace controllo. Abbiamo sentito come a tutto ciò si aggiunge anche una progressiva tendenza ad anticipare le tappe della crescita, tanto da non permettere ai ragazzi di vivere a pieno tutta la ricchezza dell'età che hanno. Il pericolo è che davanti a questa nuova realtà si perda sia l'autorità dell'adulto che la curiosità del bambino.

Ecco allora la necessità di affermare che i ragazzi non sono degli “adulti in miniatura” e che la loro età non è una semplice età di passaggio o di transito. I ragazzi nel vivere la loro età non si trovano in un limbo, in un nulla che li esclude dal mondo, dalla vera umanità dove entreranno un giorno quando saranno cresciuti, quando saranno diventati grandi. I piccoli sono già a pieno titolo nel mondo, nell'umanità, nella Chiesa. Essere educatori, per noi tutti, si esprime allora nel saper dare la giusta importanza alla realtà dei ragazzi per quello che essi sono già oggi e nello stesso tempo saper valutare le loro potenzialità che in futuro potranno maturare. Il compito dell'educazione appare quello di aiutarli non tanto a “diventare uomini”, ma ad “essere uomini”. Ogni ragazzo è chiamato ad essere realmente protagonista della propria vita vivendo a pieno la propria età, non come uno spettatore, non come chi aspetta il proprio turno in una fredda ed insignificante sala d'attesa per essere ricevuto, un giorno, nel convito dell'umanità, ma in quanto vi partecipa già, a pieno diritto.

Per questo con animo pieno di speranza non possiamo non esclamare: “Ragazzi… che spettacolo !!!” anche davanti ai limiti e alle difficoltà che spesso incontra chi, come noi, gioca la propria vocazione ed il proprio servizio ecclesiale a servizio dell'educazione dei più piccoli. Non possiamo non fare nostro questo slogan che in questi giorni ha accompagnato questo nostro incontro “Ragazzi… che spettacolo !!!” poiché siamo convinti che ragazzi siano già ora uno stupendo spettacolo davanti al quale restare meravigliati poiché il riflesso del Volto di Cristo, come ci ha detto Giovanni Paolo II, è particolarmente vivo e visibile nei loro lineamenti innocenti.

Educatori... per questi ragazzi !!!

Ciascuno di noi si trova, oggi, ad essere educatore a partire da innumerevoli e diversissime situazioni o circostanze. C'è chi è diventato educatore al termine di un impegnativo e graduale cammino di preparazione, lungo il corso del quale ha avuto la possibilità di acquisire competenza e consapevolezza circa questo ruolo così importante. C'è chi è diventato educatore mosso dall'affetto e dall'esempio di quelli che sono stati i propri educatori, così da desiderare di diventare come loro, provando a donare quello che così gratuitamente a loro volta hanno ricevuto quando erano piccoli. C'è chi invece è diventato educatore a causa di particolari circostanze di urgenza o di bisogno, magari troppo presto o, talvolta, troppo in fretta. Qualsiasi sia stato il modo con cui abbiamo scelto il servizio educativo cerchiamo ora di chiederci alla luce di quanto durante questo convegno abbiamo detto: come essere educatori per questi ragazzi oggi?

Vogliamo provare a rispondere, cercando di leggere il nostro servizio e la nostra chiamata, inserendoci all'interno di una prospettiva di fede alta ed esigente che contraddistingue e dona valore alla nostra storia personale. Quando ci interroghiamo sulle motivazioni che spingono un giovane ed un adulto ad essere educatore, siamo abituati a far riferimento alle stesse parole pronunciate da Gesù: Lasciate che i bambini vengano a me (Mt 10,13-16). L'educatore, infatti, è anzitutto colui che ha compreso l'importanza di favorire l'incontro dei ragazzi con il Signore della vita. Si tratta di un incontro diverso da tutti quelli che ci capita di fare; un incontro davvero speciale, capace di cambiare e di donare un senso nuovo alla nostra esistenza; un incontro a cui ci prepariamo e ci dirigiamo insieme, piccoli e grandi. L'incontro con il Signore, di cui stiamo parlando, può realizzarsi nella nostra vita come lungo un viaggio… qualche volta si corre più veloce, altre volte si procede più a rilento, talvolta cadiamo addirittura nel rischio di perderci… ma non ci manca una certezza fondamentale che ci dà coraggio… è bene ricordarcelo qui oggi e tutte quelle volte in cui ci scoraggiamo durante il nostro servizio educativo. Sappiamo infatti di avere una bussola, che ci indica il punto cardinale fondamentale della nostra vita, il Nord verso cui orientare ogni giorno della nostra esistenza: questa bussola è null'altro che Gesù, vero Maestro per noi e per i nostri ragazzi.

Credo che molti di noi, qui oggi, ricordano il momento ed il modo in cui sono diventati educatori… il Signore avrà realizzato in ciascuno di noi questa chiamata probabilmente servendosi della voce di qualcuno o più semplicemente suscitando nel nostro animo la disponibilità ed il desiderio di mettere a disposizione un po' del nostro tempo. Se ognuno di noi torna con la mente a quel momento (che per qualcuno è piuttosto recente, mentre per altri è passato da anni) sono certo che ricorderà le motivazioni profonde che lo hanno spinto a compiere quel passo e che ancora oggi ci spingono ad essere fedeli a quella scelta. Qualunque sia stato il modo con cui abbiamo accettato di essere educatori… quel momento ci è restato nel cuore. Abbiamo scelto di rispondere positivamente ad un mandato ecclesiale, direi anche associativo: quello di indicare a chiunque l'Agnello di Dio, il Signore.

Gesù, il Signore della nostra vita, lo sappiamo è proprio Lui il primo e più grande educatore. Egli continua ancora oggi ad educarci, come un tempo educò anche i dodici grazie ai gesti che ha compiuto. Non ha usato tantissime parole, ma quelle che ha pronunciato continuano ancora oggi a lasciare un segno straordinario in chi le ascolta. Gesù ha esaltato il valore e la centralità dei bambini attraverso gesti eloquenti, capaci di capovolgere i criteri del mondo. Lui si, che sapeva considerarli come un vero e proprio spettacolo contrariamente da quello che nel suo tempo si pensava. Oggi il Signore continua a ribaltare la logica dell'uomo: quello che a noi appare piccolo, per Lui è grande; quello che a noi appare debole, per Lui è forte; quello che a noi sembra spregevole e senza senso, per Lui è vera bellezza e pienezza di significato.

Dio stesso, con Gesù, diventa piccolo… come presto nel Natale insieme contempleremo: è il Dio dei piccoli che si fa piccolo per amore di ciascuno di noi. Ecco allora un messaggio che deve sempre alimentare il nostro “essere educatori” a fianco dei più piccoli. Davanti ai suoi discepoli che si interrogano su chi sia il migliore, Gesù pone al centro la grandezza di un piccolo bambino. Chi vorrà essere grande ai miei occhi si faccia piccolo come questo bambino. Non siamo educatori per caso, o peggio, per sbaglio… siamo educatori proprio perché chiamati dal “Dio dei piccoli”. E da questa affermazione sperimentiamo tutta la ricchezza del nostro servizio educativo che ci permette di ricevere più di quanto siamo in grado di poter dare…

Come essere allora oggi educatori di questi ragazzi ? Come possiamo continuare a valorizzare questo grande spettacolo di Dio che i piccoli rappresentano ?

La risposta che cerchiamo è che ci potranno essere pure innumerevoli motivi per i quali si è scelto o si continua a scegliere di fare l'educatore, ma la radice vera non può che essere originata e sostenuta anzitutto da Gesù, dalla sua grazia che sempre sperimentiamo… attraverso di noi è Lui che continua ad educare i suoi figli. Sulla base di ciò si comprende come il nostro servizio di educatori ci renda partecipi di un vero e proprio compito ecclesiale, potremmo dire il compito ecclesiale per eccellenza: quello della trasmissione della fede. “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” …siamo stati chiamati, dunque, a donare agli altri tutta la ricchezza e la bellezza della fede che abbiamo ricevuto a nostra volta. L'azione educativa è proprio, in prima istanza, la restituzione dei doni che si sono ricevuti; educare significa trasmettere qualcosa di importante e di prezioso, comunicando questa ricchezza soprattutto attraverso la propria vita più che per mezzo di semplici idee o conoscenze.

Molti di voi sanno bene che si educa soprattutto se si vive uno stile di vita particolare… uno stile di cui oggi più che mai c'è bisogno: quello stile che don Bosco chiamava lo stile dell'amorevolezza. Per questo c'è bisogno oggi di educatori capaci di educare con l'affetto più che per mezzo delle parole o delle nozioni. Un affetto che non ci fa dimenticare ciò che contribuisce a far si che i ragazzi crescano secondo il disegno di Dio anche quando questo significhi mettere dei limiti e dire dei no. L'educazione è un processo che avviene nel cuore della coscienza personale, chiedendoci di “prendere in mano la propria vita” senza cadere nella tentazione di essere passivi al proprio dovere di crescere. Il vero educatore è quello che aiuta i ragazzi a fare a meno di lui, che li abilita a camminare da soli, che li fa crescere sul serio tirando fuori da loro il meglio. Educare ovvero suscitare (ex-ducere) e non sedurre ovvero condurre i piccoli a se rendendoli dipendenti (se-ducere).

Il servizio educativo allora rappresenta un luogo di sintesi vitale, è una realtà segnata dalla fecondità di alcuni tratti caratterizzanti che è importante mettere bene a fuoco:

  • Il primo di questi tratti è sicuramente la passione per la vita in crescita… solo chi ama la vita è capace di generarla. L'educatore è colui che scommette in ciò che ancora non si vede, è colui che crede con speranza al futuro. Qui ci viene in aiuto l'immagine del seme che cresce; un'icona che evoca l'esperienza profonda che fa l'educatore, quella della fecondità capace di donare senso ad ogni cosa che ci accade lungo il corso della nostra esistenza. È qui, in questa “promessa di futuro e di speranza” di cui ogni ragazzo è portatore che nasce in noi la certezza che solo “scommettendo” e donando la propria vita per gli altri si coglie il vero valore dei nostri giorni.
  • Il secondo di questi tratti è una forte attenzione al quotidiano… in ogni attimo della nostra esistenza si nasconde la sorpresa di un punto di incontro con Dio che apre tutto il tempo della nostra vita all'eternità. L'eternità non si esprime per noi credenti in termini di sola durata temporale, ma soprattutto in termini di straordinaria intensità: l'educatore diventa capace di accogliere continuamente la presenza di Dio in ogni persona, in ogni evento o circostanza della vita. È qui che il tempo si trasforma da inutile ripetizione di esperienze (chronos) ad importante occasione di crescita (kairos). Ecco ritrovare temi molto cari alla nostra tradizione associativa: la straordinaria ricchezza della dimensione ordinaria della vita, il valore imprescindibile dell'esperienza che sintonizza il nostro cammino di fede sul ritmo del “giorno dopo giorno” e dei tempi che Dio ci dona.
  • Il terzo tratto sta in una attesa paziente e in una speranza viva… educare è un po' come percorrere quella via che Nouwen amava chiamare il “sentiero dell'attesa”, cioè il cammino di chi è chiamato con pazienza a sperare contro ogni speranza. Per un educatore l'attesa e la speranza si incontrano nella progettualità ovvero nell'impegno a dare senso, continuità e concretezza all'educazione, evitando di procedere a caso.
  • Il quarto ed ultimo tratto sta nel possedere un forte spirito di comunione… l'educazione è un “impresa comunitaria” in cui nessun educatore può considerarsi una sorta di “navigatore solitario”. L'educatore deve saper coniugare il noi con l'io, la nostra missione con il mio programma. Qui si coglie la necessità di avere un buon rapporto anche con tutti gli altri educatori.

Conclusioni

Alla luce di quanto detto fin qui, mi appresto ora a concludere questa mia riflessione. Dal nostro convegno mi sembra siano emerse per noi educatori dell'ACR due importanti consegne, due linee di impegno forti e significative che vale la pena sviluppare proprio a partire da questo appuntamento associativo che ci ha visto tutti insieme qui a Roma in questi giorni.

La prima di queste due consegne che ci portiamo a casa è quella di continuare a tenere viva l'attenzione sui ragazzi e sulla loro realtà. Si tratta di una vera e propria prospettiva d'impegno a cui dobbiamo sempre essere fedeli. Ciò sicuramente vuol dire essere capaci di coltivare uno sguardo profondo e non superficiale verso i bisogni, i desideri, le potenzialità e i limiti dei ragazzi di oggi. Educatori che hanno a cuore tutti i ragazzi, anche quelli più difficili da educare e che meno rispondono alle proprie aspettative. Educatori attenti sulla realtà dei ragazzi, capaci di allargarsi verso orizzonti ampi che si affacciano su quella realtà e quei luoghi magari lontani, talvolta non scontati, in cui però si gioca oggi la vita dei nostri ragazzi. Educatori che sanno assumere un atteggiamento di attenzione verso i piccoli che non sia solo occasionale, una volta ogni tanto… ma che facciano di questa attenzione una forma permanente attraverso cui esprimere la propria sollecitudine per ogni vita che cresce e che richiede di essere ascoltata, accompagnata e guidata verso la maturità.

La seconda consegna di questo convegno è quella di mantenere e curare sempre uno sguardo competente ed “allenato” sulla realtà dei ragazzi. Essere educatori, lo sappiamo e lo abbiamo detto, non è certo cosa facile. Vuol dire maturare uno sguardo capace di cogliere anche le sfumature ed i particolari; uno sguardo che vede oltre la semplice apparenza fino ad arrivare a quei bisogni nascosti a quelle domande inespresse che spesso i ragazzi si portano dentro. Per arrivare a questo il nostro sguardo dovrà essere ben allenato dall'esperienza e dal desiderio di essere sempre più preparato e competente. Occorre tanto impegno, uno studio costante, una preparazione continua, un grande senso di umiltà, persino fatica, spesso una buona dose di coraggio… tutte cose queste che ci dicono lo sforzo ed il supplemento d'impegno che oggi si chiede a ciascun educatore. Non c'è guida per le attività, non esiste sussidio, non c'è cammino formativo che possa sostituire o essere più prezioso dell'opera generosa e significativa di un educatore. Spesso ci capita di perderci nel nostro programmare, progettare e pensare strumenti per la crescita dei nostri ragazzi ma altrettanto spesso capita che ci dimentichiamo che tutti questi materiali sono appunto… strumenti e che l'educatore gioca un ruolo sicuramente più importante e imprescindibile di tutto ciò.

Davanti a queste due consegne potremmo ora sentirci inadeguati, incapaci di essere fedeli a queste prospettive d'impegno che potrebbero apparirci troppo alte per le nostre umane capacità o per le situazioni che, tornando a casa, ritroveremo.

Nonostante tutti i nostri limiti comprendiamo come l'educazione sia la nostra chiamata, quella strada che Dio stesso ci ha invitato a percorrere con generosità, senza scorciatoie, senza sconti, sicuri che educare è possibile perché attraverso noi è Lui che opera e realizza i frutti. Qualche volta ci capita di dimenticare questa prospettiva e così finiamo per basare tutto il nostro servizio educativo esclusivamente sulle nostre forze e capacità; è proprio allora che educare ci sembra solo un dovere o addirittura ci appare un impresa impossibile. Certo essere educatori non è cosa facile lo sappiamo… è cosa impegnativa. Certo educare è vivere una dimensione di fede forte e coraggiosa, piena di generosità e di disponibilità alla volontà di Dio… per questo però consideriamo il nostro essere educatori la più bella grazia di cui Dio poteva farci dono… l'impegno ed il mandato più prezioso ed importante che nella nostra vita ci poteva capitare.

Sappiamo di non essere da soli su questa strada su cui il Signore ci ha chiamato e ci continua a chiamare… il calore ed il sostegno di tutta l'Azione Cattolica si unisce all'affetto di tutta la Chiesa che guarda a noi con particolare fiducia. Stiamo per affidare al Signore queste consegne, la fedeltà alle scelte che abbiamo fatto, il rinnovato impegno a servizio dei più piccoli… grazie alla celebrazione eucaristica che tra poco vivremo insieme. La presenza della diretta televisiva forse disturberà un po' la nostra preghiera ma abbiamo desiderato in questo modo condividere con i tanti educatori che sono rimasti a casa la conclusione di questi giorni così intensi. Sono certo che saremo pronti a sopportare pure qualche piccolo disagio che tutto questo comporterà pur di ritrovarci idealmente uniti con il resto dell'associazione che ci seguirà da casa. Anche questo ci permetterà di non sentirci soli nella testimonianza che siamo chiamati a dare. Ma al di sopra di ogni cosa sta la certezza che in questo nostro servizio non saremo mai da soli perché Gesù, il vero maestro ed il vero educatore, sarà sempre accanto a ciascuno di noi.


«Questa è la fiducia che abbiamo in Lui: qualunque cosa gli chiediamo secondo la sua volontà Egli ci ascolta. E se sappiamo che ci ascolta in quello che gli chiediamo, sappiamo di aver già quello che gli abbiamo chiesto» (1Gv 5,14 ss.).

<note important>Ai documenti, presenti sul sito nazionale dell'Azione Cattolica, non è associata una particolare licenza.

Si presume, quindi, che si applichi quella del sito: Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Condividi allo stesso modo 2.5 Italia.</note>

acr/convegno_20061210.txt · Ultima modifica: 07/12/2013 19:15 (modifica esterna)