Intervento di don Claudio Nora al seminario di studio L’ACR e l’Oratorio nella vita delle chiese locali svoltosi a Gussago (BS) il 4 Novembre 2006
Con tutto quello che abbiamo da fare in Associazione dobbiamo pure pensare agli Oratori?
La domanda è legittima.
La “questione” dell'Oratorio ci riguarda, come singoli e come associazione, perché nella vita di molte delle nostre parrocchie l'Oratorio è il luogo dove la comunità cristiana incontra i ragazzi e i giovani ed offre loro una proposta di vita cristiana; ci riguarda perché sentiamo viva la responsabilità di un impegno educativo condiviso all'interno delle nostre comunità.
Se l'Oratorio è una modalità, non l'unica certamente, che la comunità cristiana sceglie per annunciare il Vangelo ai ragazzi e per introdurli alla vita cristiana allora gli oratori ci interessano; la nostra disponibilità a contribuire alla conversione missionaria delle nostre parrocchie passa anche attraverso la capacità di far sì che gli oratori ne siano espressione a misura di ragazzo e di giovane.
Al di là degli edifici o delle strutture che lo rendono presente, l'Oratorio è anzitutto un luogo educativo, espressione dell'intenzionalità educativa di tutta la comunità. Nasce dall'intuizione che la comunità cristiana non può offrire ai ragazzi e ai giovani solamente un'aula per il catechismo o la chiesa per le celebrazioni, quanto invece una proposta fatta di luoghi, persone, iniziative, esperienze che aiutino i ragazzi e i giovani a vivere occasioni di aggregazione, a stabilire relazioni significative, a sperimentare la compagnia di educatori che camminano con loro, a maturare uno stile di vita comune e di solidarietà, ad assumersi progressivamente responsabilità nella comunità cristiana e nella società civile, a scoprire giorno dopo giorno la bellezza del vivere la vita come l'ha vissuta Gesù.
La significatività di un Oratorio nella vita dei ragazzi e di una comunità non si misura sull'organizzazione, sulle strutture o sull'attivismo, ma sulla qualità di questo intreccio tra luoghi, persone ed esperienze in una tensione continua tra l'incontrare i mondi vitali dei ragazzi, i loro linguaggi e le loro attese e l'offrire loro un luogo educativo, una casa dove possano abitare, crescere e dalla quale anche partire.
L'Oratorio è anche una esperienza popolare, radicata nel territorio, accessibile a tutti e capace di offrire proposte ed occasioni diversificate a ragazzi e giovani che hanno attese diverse, condizioni di vita e domande di fede diverse. Il “cortile” dell'Oratorio è una delle frontiere della missione, perché oggi lì è possibile incontrare ragazzi che fanno esperienze belle di vita cristiana ed altri che sono lì per fare due tiri a pallone, sempre più spesso anche mussulmani o di altre fedi religiose, giovani che si spendono per gli altri o sono semplicemente in ricerca, adolescenti capitati per lì per caso o con un amico. Il carattere popolare dell'oratorio è rappresentato da questa capacità di stare nel territorio, di incontrare ed accogliere tutti e a tutti fare una proposta, a misura del cammino di ciascuno. Proprio questa tensione a cercare, incontrare e accogliere ogni ragazzo o giovane spinge oltre le strutture, oltre il cancello per intenderci, per offrire anche lungo le strade del paese o del quartiere una proposta capace di offrire occasioni di aggregazione, relazioni significative ed esperienze belle.
Un Oratorio che si fa “ponte tra la strada e la chiesa” non ha la pretesa di offrirsi come “cittadella” cattolica, ma vive l'impegno di essere luogo significativo per i ragazzi e i giovani; significativo perché abitato da persone credibili e accoglienti, animato da una proposta di vita continuamente in dialogo con il vissuto dei ragazzi e dei giovani.
Un oratorio così valorizza le soggettività associative, non le annulla, non le pastorizza per renderle indistinte. Proprio perché è espressione della comunità cristiana che si fa carico dell'educazione cristiana delle generazioni più giovani esso non può che essere plurale, ricco di presenze diverse capaci di condividere un progetto educativo; di pensarlo insieme anzitutto e di realizzarlo poi contribuendo ciascuno per la propria parte. Un oratorio che vede la presenza dell'ACI, del CSI o di altre associazione sperimenta la ricchezza e l'apporto di queste presenze, diverse tra loro per competenze, ambiti di impegno e metodi educativi.
La presenza di un gruppo dell'ACR o di giovanissimo e giovani di AC è una ricchezza per tutto l'oratorio, e lo è in quanto rappresenta una delle modalità attraverso le quali la comunità cerca di incontrare, di accogliere ed accompagnare tutti i ragazzi, gli adolescenti e i giovani. D'altro canto curare la vita associativa dei ragazzi o dei giovanissimi, ovviamente in quadro d'insieme, sarà il contributo che l'Associazione offre affinché l'Oratorio possa essere realmente e sempre più luogo educativo ed esperienza missionaria.
Proprio in questo impegno educativo finalizzato alla crescita di personalità cristiane mature, di persone libere, serene e responsabili, sta la funzione sociale dell'Oratorio. Essa non risiede in un protocollo, in un finanziamento o in un atto legislativo, ma nella consapevolezza che formare coscienze cristiane adulte contribuisce a far crescere la coscienza civile del paese. E questo è un valore che preesiste ad ogni riconoscimento legislativo. Il fatto che l'ordinamento legislativo nazionale e regionale riconoscano questa funzione sociale dell'Oratorio e dell'associazionismo comporta una responsabilità in più; ci chiede infatti ancora più competenza, laicità, capacità di lavorare in rete e, soprattutto un'etica della relazione con l'ente pubblico fatta di trasparenza, correttezza ed essenzialità.
Il beato Alberto Marvelli, giovane cresciuto in Oratorio e in Azione Cattolica, ci ricorda quale orizzonte di gratuità e passione educativa accompagni la dedizione di chi si impegna nell'educazione cristiana dei più piccoli: “Non credere di perdere il proprio tempo trascorrendo anche delle ore con i bimbi cercando di divertirli e renderli più buoni. Gesù stesso li prediligeva e li voleva vicino a sé. E le parole buone dette a loro non saranno mai troppe”.
Intervento di don Claudio Nora al seminario di studio L’ACR e l’Oratorio nella vita delle chiese locali svoltosi a Gussago (BS) il 4 Novembre 2006
Mi lascio provocare anch'io dal titolo del Seminario e cerco di offrire una riflessione tentando di rispondere alla domanda sul rapporto che intercorre tra la realtà dell'oratorio e l'impegno educativo dell'Azione Cattolica Italiana, soprattutto per quanto riguarda il profilo della collocazione di entrambe le realtà in un quadro di pastorale dei ragazzi. L'esperienza delle nostre chiese locali ci mostra situazioni molto diverse. L'ACI è presente in tutte le diocesi italiane e non ha propri oratori, ma condivide le scelte delle chiese locali. Vi sono diocesi che storicamente non conoscono la presenza dell'oratorio e vi sono realtà in cui l'oratorio ha una tradizione ed un radicamento consolidati e preziosi; vi sono poi chiese locali dove stanno nascendo esperienze di oratori e coordinamenti diocesani di queste esperienze. Il rapporto con la realtà associativa è molto diverso: a volte è caratterizzato da complementarietà, altre volte conosce l'estraneità dei separati in casa; ci sono esperienze di forte collaborazione e, in altri casi, di antagonismo.
Personalmente ho l'impressione che i motivi di questa differenza di qualità nella relazione tra oratori e ACI possano essere rinvenuti, in alcuni casi, nella difficoltà a trovare delle scelte pastorali comuni alle quali riferirsi, ma in molti altri casi sia legata alla capacità o meno delle persone di lavorare insieme, di collaborare e di progettare.
Vorrei procedere schematicamente per tesi, prendendo in considerazione le situazioni nelle quali la presenza dell'Oratorio e dell'Azione Cattolica, in particolare dell'ACR, ci chiede una riflessione.
L'oratorio è una delle modalità con le quali le Chiese locali esprimono il proprio impegno educativo e di evangelizzazione nei confronti delle giovani generazioni. E' 'una' delle possibilità, accanto ad altre esperienze che la integrano e che fanno riferimento a soggetti più caratterizzati o a luoghi nei quali è più opportuna una modalità diversa di presenza e di azione pastorale.
Non mi soffermo su aspetto che invece sarebbe doveroso affrontare: quello del 'modello oratorio'. Lo accenno soltanto per richiamare l'attenzione sul fatto che esistono modelli diversi di oratorio: un conto è l'oratorio lombardo o milanese e un'altra cosa è l'esperienza dei patronati del Triveneto. Una cosa è l'oratorio salesiano e un'altra cosa ancora sono le forme di oratorio che scaturiscono dall'associazionismo dell'Anspi, del Noi, ecc…
I diversi modelli non indicano una radicale alterità, ma un differenziato prendere forma dell'esperienza per motivi storici, geografici e pastorali differenti.
In ogni caso, pur nella differenziazione dei modelli, essi sono espressione di una comunità adulta che desidera trasmettere anche ai ragazzi e ai giovani il tesoro prezioso della fede e del vangelo che ancora oggi la suscita.
Ma questo ci pone anche una domanda: nel prendere atto di forme o modelli differenziati è sufficiente registrare queste differenze o, al limite, cercare in denominatore comune tra esse? Non è forse chiesto all'oratorio, pur nella diversità delle forme, di essere e di apparire sempre più come l'espressione di un 'noi' ecclesiale che mostra il volto materno della Chiesa?
L'oratorio si caratterizza infatti, di sua natura, per un impegno di educazione integrale dei ragazzi e dei giovani assumendo la sfida di evangelizzare la cultura giovanile e di accompagnare pazientemente la crescita della fede nei ragazzi che l'hanno accolta; ciò avviene attraverso la cura delle diverse dimensioni della vita dei ragazzi e una pluralità di esperienze rivolte all'integrazione tra la fede e la vita.
Gli oratori, nelle diverse forme che essi assumono nelle differenti chiese locali, sono anzitutto un luogo: un cortile, un campo di calcio, delle salette, un bar, un teatro… una struttura che concretamente e in modo visibile dice questa attenzione educativa in mezzo alle case di un quartiere o di un paese. Un luogo che non prende forma per caso, ma a partire dalla progettualità educativa della comunità cristiana.
L'oratorio è, contestualmente, un progetto che a partire da una intenzionalità educativa condivisa elabora percorsi, suscita esperienze, gruppi o attività: non un generico attivismo, ma la capacità di valorizzare le presenza e di suscitare collaborazioni nel segno di un progetto educativo che tutti coinvolge.
L'oratorio è una comunità di persone che educano. Non è mai delega a chicchessia, né al prete dell'oratorio, né ai catechisti, agli educatori o agli animatori. L'Oratorio esprime il volto di una comunità adulta che si fa carico della trasmissione della fede alle generazioni più giovani.
La comunità cristiana non è, però, una realtà informe, indistinta, o monolitica, granitica; essa ha invece il volto dei tanti soggetti che la compongono, le singole persone e le realtà associative.
E' una realtà articolata, plurale, quella che si assume il compito di introdurre alla fede i ragazzi, gli adolescenti e i giovani.
Con l'espressone 'plurale' intendo evidenziare la ricchezza e la varietà che anche la comunità più piccola e apparentemente più povera rappresenta: è sempre una comunità dove sono presenti vocazioni diverse, generazioni diverse, gruppi, associazioni, competenze e disponibilità differenti.
L'oratorio è espressione di una realtà plurale nella quale i diversi soggetti ecclesiali contribuiscono a delineare il progetto educativo in un clima di comunione e di corresponsabilità e si spendono, ciascuno con il proprio peculiare apporto, per realizzarlo.
L'oratorio sempre più ha bisogno di sottrarsi ad ogni forma di personalizzazione (“L'oratorio di don Luigi”; o l'oratorio di questa o quella congregazione…) per essere sempre più il volto di una comunità che, tutta e valorizzando tutti i carismi, comunica il vangelo.
La presenza dell'Azione Cattolica nella comunità cristiana e nell'Oratorio non si esprime in un patrimonio di “forza lavoro” qualificata da poter utilizzare per i diversi servizi necessari, ma ha il valore di una esperienza associativa che si offre come scuola di santità - che aiuta a vivere la fedeltà alla propria condizione laicale, e per i ragazzi e i giovani a scoprire la propria vocazione - e come esperienza di corresponsabilità nei confronti della missione della Chiesa, missione scoperta e vissuta come responsabilità propria. L'apporto qualificante dell'AC non si misura su ciò che essa può fare, ma nel suo rendere presente il volto di una comunità cristiana plurale, popolare e consapevole delle proprie responsabilità; la sua stessa natura di soggetto ecclesiale ne motiva la presenza prima e oltre le ricadute operative.
Vivendo l'esperienza dell'Azione Cattolica o avendo cura di un gruppo di ragazzi dell'ACR si contribuisce all'edificazione della comunità cristiana e a rendere vivo e significativo l'oratorio. Per parlare fuor di metafora: un giovane che vive il suo impegno e la sua dedicazione ad un gruppo di ragazzi dell'ACR vive un impegno che ha la stessa dignità e importanza di quello di un catechista; a lui non possiamo chiedere di fare prima qualcosa che giudichiamo neutro, senza etichette o 'di tutti', perché gli sia concesso poi anche di fare una cosa considerata 'di parte'. Dobbiamo chiedergli di accompagnare bene i ragazzi del suo gruppo dell'ACR;di farlo al meglio, perché prendendosi cura di loro con competenza e dedizione già edifica la comunità cristiana.
Contestualmente anche ai ragazzi è importante che venga offerta la possibilità di vivere una analoga esperienza comunitaria e di relazione, tipica della natura associativa dell'ACI; attraverso l'appartenenza al gruppo dell'ACR i ragazzi vivono una autentica esperienza ecclesiale capace di introdurli nella vita della comunità cristiana.
Anche qui, per parlare fuor di metafora: non possiamo chiedere ad una ragazzo di partecipare a questo o a quello e poi, se avanza tempo o se vuoi, scegli tra l'ACR, il gruppo dei chierichetti, il gruppo teatrale o quello che costruisce gli aquiloni.
La presenza associata di giovani e adulti credenti, la loro passione ecclesiale ed il loro impegno educativo, è una ricchezza per la comunità cristiana e per l'oratorio. E, ugualmente, ciò si può affermare per la presenza e la vitalità di gruppi dell'ACR.
Nello stesso tempo offre alla progettualità formativa dell'oratorio la propria esperienza formativa, gli strumenti che l'Associazione elabora e la generosità e competenza degli educatori che in essa si formano.
Troppo spesso - e a volte immotivatamente altre volte con qualche ragione - l'oratorio viene considerato semplicemente un luogo d'incontro o di divertimento. Spesso l'oratorio viene visto come un ricreatorio, dove i ragazzi possono giocare o, in alcuni casi, scorrazzare senza la presenza di figure educative che si occupano di loro. Sappiamo bene che questi possono essere considerati come un caso limite, è vero; vi è però anche nelle realtà più strutturate, più organizzate e ricche di attività e iniziative il rischio che l'impegno di preparare il carro di carnevale, organizzare la tombola, montare il palco, preparare lo spettacolo… progressivamente si smarchi da una progettualità educativa e, siccome il tempo è tiranno e c'è da fare, la necessità di tenere il ritmo prenda il sopravvento sul profilo educativo.
La presenza dell'Associazione all'interno dell'oratorio - di adulti e giovani che vivono una dedicazione stabile e organica alla comunità cristiana e alla sua missione - contribuisce a tenere alta la tensione educativa dell'oratorio stesso, a fronte di possibili riduzioni semplicemente aggregative.
In particolare contribuisce a far sì che la proposta educativa dell'Oratorio sia orientata:
- alla comunione, nel senso di un'apertura oltre il gruppo, oltre i confini stessi dell'oratorio in una prospettiva diocesana; la dimensione nazionale e diocesana dell'associazione aiuta a mantenere un orizzonte ampio, di comunione e di apertura. Ma il servizio alla comunione, caratteristico dell'ACI, è anche cultura della valorizzazione dell'altro, degli altri, dei doni di tutti; è impegno - per parlare con libertà - a costruire non tanto la compagnia dell'oratorio, ma un oratorio plurale, colorato, ricco di esperienze e sensibilità.
- alla responsabilità, dove nessuno è utente di un servizio erogato, ma tutti siamo protagonisti di un'esperienza che costruiamo insieme e viviamo con responsabilità. Una responsabilità che educa alla condivisione, vissuta nella valorizzazione dei carismi e delle responsabilità di ciascuno; una responsabilità che educa a vivere con tutti i fratelli la partecipazione attiva e consapevole alla missione della Chiesa. Pensiamo a cosa può significare tutto questo in termini di stabilità e di continuità educativa in un vissuto ecclesiale in trasformazione (unità pastorali, cambi di sacerdote o il venir meno di viceparroci…).
- all'apostolicità, vissuta come spinta a far sì che il vangelo sia conosciuto e accolto da ciascuno e che a partire dall'incontro con il Signore Gesù ogni ragazzo possa dare alla propria vita una forma cristiana. La presenza di ogni ragazzo in oratorio è preziosa, ma nel rispetto della libertà e della gradualità di ciascuno per tutti l'oratorio desidera per tutti l'incontro con il Signore.
Per questo motivo la presenza dell'ACI all'interno dell'oratorio non si configura come un gruppo di interesse assimilabile a molti altri, ma come realtà che contribuisce a sostanziare il profilo formativo dell'oratorio stesso. Questo concorrere a rendere i percorsi e la proposta formativa dell'oratorio sempre più di qualità è, a mio avviso, uno degli apporti più significativi dell'ACI alla realtà dell'oratorio.
Proprio per la sua realtà di ponte tra la Chiesa e la strada l'oratorio incontra e cerca ragazzi che vivono diverse situazioni di fede di ricerca: le motivazioni che portano un ragazzo in oratorio sono le più diverse: giocare, fare sport, la presenza degli amici, perché ci si viene per la catechesi oppure per scelta dei genitori o più semplicemente perché lì possono incontrare altri ragazzi.
Nei confronti di tutti questi ragazzi gli adulti e i giovani presenti in oratorio vivono certamente una cura e una attenzione educativa e missionaria; ma ci può essere una attenzione missionaria anche da parte dei ragazzi stessi? È possibile pensare che siano gli stessi ragazzi più motivati, consapevoli o sensibili a vivere nei confronti dei propri coetanei qualche forma di responsabilità e di testimonianza cristiana?
L'ACR all'interno dell'oratorio vuole essere proprio questo: una realtà di ragazzi che si apre ai propri coetanei, che contribuisce a fare dell'oratorio un luogo accogliente e ospitale; la vitalità dei gruppi ACR e la testimonianza dei singoli ragazzi possono rappresentare “l'anima apostolica” dell'oratorio che contribuisce a renderlo, agli occhi di tutti i ragazzi, luogo di una esperienza cristiana aperta, coinvolgente e capace di interpellare anche la loro vita.
In altre parole: la presenza di ragazzi che vivono un cammino di fede e che hanno una sensibilità particolare nei confronti degli amici e dei coetanei più svagati o distanti o presenti in modo occasionale contribuisce a dare un'anima all'oratorio; lo rende abitato da ragazzi che per quello che sono e con quello che fanno danno una testimonianza a misura di ragazzi.
La natura associativa dell'ACR permette inoltre ai gruppi di essere, in alcuni casi, un 'laboratorio' che consente alcune forme di sperimentazione missionaria.
Sono già reali l'esperienza di inserimento nel gruppo ACR di ragazzi non battezzati che vivono in esso il loro catecumenato, esperienze di prima evangelizzazione dei bimbi più piccoli in età prescolare oppure l'integrazione di forme di diversa abilità. Allo stesso modo una valorizzazione della realtà associativa e della sua proposta formativa assunta nella sua globalità permette ai ragazzi di vivere l'itinerario di iniziazione cristiana all'interno dei gruppi ACR contribuendo a rinnovare gli itinerari di iniziazione cristiana della parrocchia.
La presenza degli adulti dell'Associazione permette, inoltre, di offrire esperienze di dialogo e di accompagnamento dei genitori e delle famiglie dei ragazzi che vedano coinvolti non solo gli educatori o il sacerdote, ma un gruppo di adulti che si fa vicino alla loro esperienza di genitorialità e alla loro condizione di adulti.
La presenza e la vitalità di gruppi ACR all'interno dell'oratorio, ma lo stesso si può dire in generale dell'Azione Cattolica, aiuta l'oratorio stesso ad essere sempre più e sempre meglio volto di una comunità missionaria che non si limita alla 'puericultura' (come a volte ingiustamente accusata), ma prende sul serio la sfida della consegna della fede alle generazioni più giovani.
Intervento di don Gianantonio Urbani al seminario di studio L’ACR e l’Oratorio nella vita delle chiese locali svoltosi a Gussago (BS) il 4 Novembre 2006
Una sfida oggi più che mai sentita e accolta è la formazione degli educatori ed operatori pastorali nelle parrocchie, negli ambienti del tempo libero quali l'Oratorio, la sala della comunità, e tutti quegli spazi che richiamano la vita nella Chiesa per la crescita umana/cristiana delle persone. L'esperienza che da tre anni conduco nella mia diocesi di Vicenza è quella di presiedere alla vita associativa dell'Associazione NOI oratori e circoli e poi come assistente diocesano dell'ACR. E' un “duetto” formativo assai interessante perché incontrando volontari e operatori pastorali negli oratori posso incrociare la vita anche degli educatori e vale certamente anche il contrario, incontrando gli educatori dell'ACR inseriti nei vari centri parrocchiali con il loro gruppo e il cammino di giovani di AC. E' una sfida perché ci chiede se un educatore può esercitare questo dono solamente ad orari fissi oppure se non sia chiamato ad esserlo con tutta la sua vita anche al di fuori del tempo dedicato all'ACR. Dal punto di vista testimoniale, per dono del Signore, una persona chiamata ad esercitare il ministero dell'educazione, lo è per tutta la vita. Magari non per tutti gli anni della vita, ma sicuramente per una porzione più prolungata negli anni della giovinezza e prima età adulta. L'ACR e l'Oratorio impegnati nella formazione sono essi stessi nel loro rapporto una sfida perché cercano di intrecciarsi le vite dei giovani educatori con l'esperienza più adulta di volontari, direttori e animatori del tempo libero.
Già il nostro prezioso Progetto ACR del 1990 ha dedicato una parte nel finale al rapporto tra ACR e Oratorio parrocchiale dicendo: “Qual è il ruolo dell'ACR nell'Oratorio? L'ACR non è fuori dall'oratorio, non si confonde con l'oratorio, ma è una delle proposte che i ragazzi possono incontrare in oratorio, e per libera scelta aderirvi… la presenza nell'oratorio di gruppi ACR chiaramente connotati e vivaci è segno di testimonianza per tutti i ragazzi… gli educatori dell'ACR possono offrire il proprio contributo per la realizzazione del progetto dell'oratorio, non solo come traduzione operativa, ma come partecipazione nell'elaborazione delle proposte e delle iniziative”.
E suggeriva quattro criteri di base per vivere il rapporto oratorio-Azione Cattolica.
Li elenco solamente e poi cerco un superamento dal mio punto di vista.
Posso dire che sono criteri che ho sperimentato nel mio passato da educatore ma che tuttora in modo rielaborato possiamo richiamare per un corretto rapporto educativo oratorio-Azione Cattolica e più specificamente la formazione stessa di coloro abitualmente frequentano le nostre realtà parrocchiali.
Innanzitutto la stretta intesa tra operatori, responsabili in primis (direttori di oratorio, presidenti di Noi Associazione), assistenti e quindi addetti alla formazione. Una stretta collaborazione è decisiva per un corretto annuncio visibile, ad esempio, verso i nuovi educatori che cominciano l'esperienza educativa e di accompagnamento con i ragazzi dentro l'oratorio. Un dialogo che, a mio avviso, deve sì essere cercato ma anche istituzionale, almeno con appuntamenti periodici previsti in calendario parrocchiale.
Ad esempio una parte di formazione potrebbe essere di natura integrata prevedendo incontri comuni di animatori di oratorio, quindi del tempo libero, ed educatori ACR perchè i ragazzi sono gli stessi che da una parte aderiscono al gruppo ACR e dall'altra partecipano al tempo libero anche in oratorio. Primi apostoli sono coloro che contribuiscono con l'esempio e la preparazione alla crescita dei ragazzi affidati loro nel cammino. Riassumendo questo primo punto possiamo stabilire un guadagno proprio attraverso una stretta intesa tra educatori ACR e animatori del tempo libero in quanto si prendono cura delle future generazioni e che quindi gettano le basi per una comunità cristiana responsabile.
In un nostro recente testo dal titolo “Note associative” 1) dove, come presidenza diocesana, abbiamo cercato di mettere per iscritto le cose essenziali da tenere a mente e a cuore per il cammino dell'AC, nella parte riguardante la corresponsabilità in parrocchia del giovane laico noi l'avremo intesa e tradotta così:
Il cammino della corresponsabilità di un giovane laico di AC si snoda in:
Da parte dell'AC vi è quindi tutta la disponibilità a formare, aiutare e sostenere i futuri educatori all'interno dell'oratorio non in un “orto conclusus” ma in una dimensione aperta ai doni che il Signore, nella sua grande bontà, suscita e fa' nascere oggi. Mi sembra che talvolta, vissuta l'esperienza di gruppo ACR, ognuno se ne torni alle proprie faccende personali, dimenticando la chiamata ad un servizio più allargato alla comunità stessa. Scrive in una sua relazione il prof. Lazzati: “Se uno vuol vivere da cristiano la sua dimensione nella comunità religiosa, in quella civile, in quella politica, dev'essere educato a questa capacità di relazioni interpersonali… facciamo un passo in avanti in questa riflessione. Se uno cresce attraverso le relazioni interpersonali e, quindi, riceve da esse, deve anche sapere che è responsabile delle comunità in cui vive (tra queste l'ambiente oratorio) e che è esercitando tale responsabilità che si realizza secondo la vocazione cui Dio lo chiama e secondo la missione che gli affida. Occorre, dunque, educare al senso di questa responsabilità, educare alla competenza… qui da cristiano dovrei usare un'altra parola e dire che bisogna educare al senso vero della carità, dell'amore agli altri. Un amore che non è parola, ma che si fa servizio” 3).
Ecco quindi un punto di non ritorno al quale sia come educatori che come responsabili di oratorio dovremmo tenere bene a mente per la formazione: la caratteristica della responsabilità vocazionale di chi ci è affidato nel cammino.
Altro punto che necessità di una riflessione è il rilancio sapiente degli organismi di partecipazione ecclesiale quali CPP, CPAE, consiglio di gestione dell'Oratorio, i quali organismi dovrebbero prevedere, oltre la presenza rappresentativa di tutte le componenti ecclesiali quali gruppi AC, Agesci, Associazioni di Oratorio, i Movimenti, anche uno stile nuovo di vivere la formazione a cura degli operatori stessi. Credo che non possiamo più chiedere ad un giovane di fare l'educatore ACR, prestare una responsabilità associativa, offrire del tempo per l'animazione di oratorio ed essere rappresentativo all'interno di un organismo decisionale sopracitato. La formazione e quindi il cammino di vita spirituale, perché di questo si tratta quando parliamo tra di noi, deve essere sostenibile ed a misura di uomo, di giovane. Esasperazioni, grandi generosità e disponibilità, oggi forse più di ieri rischiano di offrire un'immagine di Chiesa del “tuttofare” e sempre in continua agitazione. Sarebbe più opportuno calibrare bene le responsabilità, i mandati e gli impegni presi. Su questo noi assistenti dovremo essere più esemplari.
Vivere la vita cristiana è sempre e comunque un cammino alla sequela del Signore per trovare e sperimentare la sua pace. Mi sembra che il servizio sia dell'AC sia quello di NOI Associazione quindi, della dimensione associativa del servizio, siano delle garanzie per fare esperienza di Chiesa in cammino ma soprattutto, nelle responsabilità associative e formative, la possibilità di operare dei passaggi di consegna significativi. (vedi l'immagine del testimone nella corsa 4 x 100). Chi vive una responsabilità dovrebbe sapere che è lì che può imparare a vivere un incontro vivo e rigenerante con gli altri essendo anche di esempio a coloro che prenderanno il suo posto negli anni a venire, intendiamoci: ciascuno portando il suo dono e con la disponibilità ad aprire il cuore e l'intelligenza per un incontro affettivo e ricco di sentimenti.
Il progetto ACR indicava anche un punto assai importante oggi per vivere serenamente l'annuncio del Vangelo nelle nostre comunità: la promozione comune di appuntamenti significativi per interagire tra realtà educative diverse.
Credo che non sbagliamo se diciamo che talvolta le nostre realtà pastorali-parrocchie sono frastagliate di iniziative e appuntamenti che rischiano anche di sovrapporsi e creare qualche malumore quando non si incorre anche in relazioni che si sfilacciano e diventano conflittuali.
Mi scrive una educatrice in questo senso: “…diciamo che il problema di fondo è che c'è poca collaborazione. Noi educatori ACR e giovanissimi siamo al limite. Pensa che quest'anno ci sono tre persone che hanno sia gruppo ACR che gruppo giovanissimi, e gli adulti che gestiscono il centro parrocchiale prima fanno fatica a mandare i loro figli all'ACR o ai giovanissimi (sempre 2000 problemi, e tutto per questioni di priorità (c'è sempre il dio calcio che incombe)) e poi quando ti incontrano ti dicono: “non potresti venire qualche volta a tenere aperto il bar? tu che sei giovane e hai tempo…”.
Poi alla fine l'obiettivo di educare i ragazzi secondo uno stile cristiano è lo stesso, ma potrebbe essere raggiunto in modo decisamente migliore…”
A me sembra che il problema stia proprio nella progettualità e nel cercare di operare delle scelte in una direzione non settoriale (quando non è settaria, cioè di divisione) ma comunionale. Quello che dice in conclusione l'educatrice è eloquente “l'obiettivo potrebbe essere raggiunto in modo decisamente migliore…” ed io aggiungo sereno, gioioso e secondo la pace del Signore!
Per me è necessario che, sia l'Associazione che anima l'Oratorio, sia la federazione, sia un'altra forma gestionale scelgano decisamente alcune vie su cui camminare.
Per quanto riguarda la realtà a cui sono stato chiamato, quella di NOI Associazione Oratori e Circoli, essere associazione dentro l'oratorio significa: esperienza di condivisione, comunitarietà, impegno continuativo nello specifico della realtà affidata, cioè la gestione del tempo libero, affinché sia un tempo libero ricco e di qualità.
Essere ASSOCIAZIONE quindi:
Questo vale per NOI Associazione, la nostra esperienza di oratorio, ma anche per l'Azione Cattolica quando nello statuto nazionale, articolo 4, leggiamo: “l'Azione Cattolica Italiana intende realizzare nella vita associativa un segno di unità della Chiesa in Cristo. Si organizza in modo da favorire la comunione fra i soci e con tutti i membri del Popolo di Dio, e da rendere organico ed efficace il comune servizio apostolico” ma potremo anche continuare nel cercare questa disponibilità e formazione approfondendo e, a mio avviso, imparando a memoria l'articolo 11 5).
Risulta perciò evidente, per quello che posso sperimentare nel mio orizzonte, che lo scambio tra associazioni, realtà pastorali e gruppi è decisivo per una formazione degli educatori all'interno delle nostre parrocchie e quindi degli oratori. Già un documento della Chiesa italiana per gli anni 90 raccomandava questo: “le (aggregazioni laicali) si mettano sempre più a servizio della comunità, se ne sentano parte viva e ricerchino in ogni modo l'unità, anche pastorale, con la Chiesa particolare e con la parrocchia. Uno speciale incoraggiamento rivolgiamo all'Azione cattolica, particolarmente chiamata a promuovere la pastorale diocesana e parrocchiale, secondo il suo carisma di diretta collaborazione con i pastori” 6) ed anche nello scorso anno è stato ribadito dalla CEI lo stesso motivo di comunione in ordine ad una convergenza di scelte pastorali nella Chiesa particolare 7).
E qui si cade spesso, quando addirittura non si sovrappongono iniziative e proposte che nello stesso tempo potevano essere condivise. Mi scrive una religiosa: “Un punto di debolezza è sicuramente questa non collaborazione tra i gruppi, anche se qualche tentativo per migliorare si sta facendo, un punto di forza può essere il fatto che a partecipare agli incontri ACR sono gli stessi animatori e bambini che, poi, frequentano l'oratorio per altre attività e quindi, partendo da questo, forse si potrebbe pensare ad attività ed iniziative che ricuciano questo rapporto al momento un po' debole”.
Il desiderio c'è, credo che tutti siamo chiamati alla collaborazione ma è altrettanto necessario un coordinamento che vada verso l'interscambio e l'apertura al confronto. Il recente Convegno della Chiesa italiana a Verona ha mostrato proprio questo: una Chiesa viva ma che ha strettamente bisogno di più confronto interno e con il mondo.
Si prova mettersi a tavolino, a programmare, a conoscersi, a pregare insieme e a progettare piano piano fin dalle fondamenta. Ho l'impressione, confermatami da molti, che ci si conosca molto poco e talvolta si senta parecchio la diversità come paura… l'incontro abbatte decisamente i muri!
E' invece decisivo per il futuro che rimanga aperta la porta in ambedue i sensi per tentare la dimensione del laboratorio della formazione sia in ambito associativo di AC sia in quello oratoriano secondo una scansione a moduli senza sconvolgere il cammino ma puntando all'unità della persona che, come ho detto sopra, è unica e purtroppo, molte volte, riceve messaggi in disaccordo da chi offre l'opportunità della formazione in parrocchia e in diocesi.
Concludo, ma le questioni rimangono aperte, chiamando a testimone il card. Carlo Maria Martini che scrivendo, pensando a don Bosco educatore, dice:
“Oggi che si ama tanto lo sport, che nutriamo così bene il nostro corpo e lo alleniamo per la salute e la bellezza, dovremmo impegnarci almeno alla pari, ad allenare anche lo spirito e le sue facoltà, a qualificarci nelle virtù cristiane, a controllare l'istinto egoistico e i suoi vizi capitali.
(…)
Mi capita sovente di sentire che è la società a condizionarci, a plagiarci, a costringerci al male. E in parte è vero. Ma la nostra capacità critica e la nostra volontà e coscienza potrebbero reagire a tante proposte malvagie, irragionevoli, ingiuste, se fossero bene educate. L'educazione è un allenamento quotidiano a dire SI' sempre al vero bene, e NO al male” 8).
Intervento di don Massimiliano Sabbadini al seminario di studio L’ACR e l’Oratorio nella vita delle chiese locali svoltosi a Gussago (BS) il 4 Novembre 2006
ORATORIO
⇒ non esiste “in generale”
⇒ la situazione degli oratori sul territorio nazionale è molto diversificata
⇒ un denominatore comune nell'intreccio di questi elementi:
ACR e ORATORIO tra due estremi:
⇒ oratori capillarmente diffusi e spesso molto articolati
⇒ in rapporto ai gruppi di catechismo dell'iniziazione cristiana
⇒ Sinodo 47°:
Cost. 218. L'oratorio nella pastorale giovanile della parrocchia
§ 1. Il progetto di pastorale giovanile delineato da ogni parrocchia, come traduzione e applicazione di quello diocesano, richiede l'irrinunciabile attenzione alla totalità della popolazione giovanile che vive nel suo territorio. Strumento privilegiato e prioritario con cui svolgere l'impegno educativo della parrocchia nei confronti di tutta la popolazione giovanile è l'oratorio. Esso «è una comunità che educa all'integrazione fede-vita, grazie al servizio di una comunità di educatori, in comunione di responsabilità e di collaborazione con tutti gli adulti. Il metodo dell'oratorio (o il suo stile) è quello dell'animazione, che consiste nel chiamare i ragazzi a partecipare a proposte educative che partono dai loro interessi e dai loro bisogni»[9].
§ 2. La parrocchia non può esimersi dal promuovere e organizzare l'oratorio e raccordare l'opera svolta in esso con quella esercitata da associazioni, gruppi e movimenti. L'oratorio infatti ricerca ed accoglie ogni fanciullo, ragazzo, adolescente o giovane che vive nell'ambito della parrocchia, mentre l'adesione ad associazioni, gruppi e movimenti riguarda solo una parte della popolazione giovanile che ne accetta le modalità ed i cammini.
⇒ protagonismo dei ragazzi, “soggetti” del camino di fede
⇒ itinerari differenziati e differenti “vocazioni”
198. La formazione alla missionarietà e alla corresponsabilità dei più motivati
§ 1. All'interno della comunità si riconoscono ragazzi, adolescenti e giovani che hanno fatto scelte più consapevoli o che possono essere aiutati a farle e si rendono disponibili per un servizio continuativo. Ad essi sia offerto, con una particolare attenzione personale, un vero e proprio percorso formativo alla missionarietà e alla corresponsabilità.
§ 2. Di grande aiuto per questi ragazzi, adolescenti e giovani, nel contesto della vita parrocchiale oratoriana, è la proposta dell'Azione Cattolica, indicata dai vescovi come scuola per la formazioni di laici adulti a una stabile dedicazione alla pastorale della comunità e alla missione.
⇒ valore non assoluto dell'oratorio e mentalità adatta alle/delle esperienze associative
⇒ integrazioni nel Progetto educativo e, soprattutto, nell'incontro tra responsabili
⇒ educatori, loro formazione e diversificazione
⇒ pastorale dei ragazzi nella/della/per la Chiesa diocesana
Intervento di don Massimiliano Sabbadini alla Conferenza Organizzativa di NOI Verona del 28 ottobre 2004
Vedendovi qui di fronte a me tutti insieme, mi viene spontaneo immaginare dietro i vostri volti anche le realtà di cui siete testimoni, portatori, animatori e quindi sento la presenza di una Chiesa vivace, ricca, competente anche nell'educazione dei ragazzi, dei giovani, degli adolescenti. Al di là di quello che i miei occhi percepiscono ora, è bello pensare soprattutto ai vostri ragazzi e poi agli educatori e animatori, ai curati e parroci di tutte le chiese e le parrocchie che voi rappresentate ed è anche a loro che voglio comunicare una brevissima testimonianza legata ad un'esperienza che ho appena vissuto.
Proprio questa notte sono tornato da Belgrado, o meglio da una diocesi a 40 Km da Belgrado, dove sono andato con il cardinale Dionigi Tettamanzi, il mio arcivescovo, il successore di Sant'Ambrogio sulla cattedra di Milano. Ambrogio fu, per usare una terminologia attuale, un giovane praticante avvocato in quella terra. Per questo il cardinale Tettamanzi è stato invitato per festeggiare i 1.700 anni del martirio di San Demetrio e degli altri che hanno dato vita a una Chiesa così lontana. Perché vi racconto questo? Perché, con il mio Arcivescovo, mi sono trovato in una situazione piuttosto desolata: la chiesa cattolica è solo una piccolissima minoranza, il 5% della popolazione, circondata in buona parte dalla Chiesa Ortodossa, e con una storia recente fortemente antireligiosa nella quale i cattolici hanno potuto giusto sopravvivere. Là ho toccato con mano quanto sia difficile celebrare la fede iniziata 1.700 anni fa in quei luoghi e ancor di più ricondurre a una pratica quotidiana la vita cristiana, dove non è stata irrorata continuamente, di generazione in generazione. Ma, appunto, da che cosa è nutrita e sostenuta la fede? Riflettendo anche con il Cardinale in auto, sulla via del ritorno, mi è sembrato proprio di cogliere che il segreto della continuità è l'educazione cristiana: poter trasmettere valori ai propri figli, i quali trasmetteranno ai figli dei loro figli i valori in cui credono, valori che, però, devono essere vissuti e non solo celebrati. Questa mi sembra proprio la ricchezza di una Chiesa che è quella che noi conosciamo, che ci fa continuamente vivaci, sempre protesi al futuro, alla ricerca preziosa delle radici del passato per viverle ancora oggi. Il confronto con una Chiesa lontana per alcuni aspetti, legati principalmente al suo destino storico, ma in fondo geograficamente vicina, separata da noi solo dall'Adriatico e raggiungibile velocemente, ci dice con un occhio più disincantato quanto sia preziosa l'eredità che noi riceviamo e la tradizione che noi consegniamo ad altri: una Chiesa che educa i suoi figli è una Chiesa viva, che guarda al futuro. Sarà capace di gettare un nuovo seme perché il Vangelo sia non solo ricordato, ma anche vissuto e sentito come la trama di ogni giorno da vivere.
Vi ho raccontato questa esperienza, perché contiene un altro modo, forse meno immediato, sicuramente più complesso, di definire l'oratorio.
Oratorio significa cento cose. Certo, “oratorio” presuppone anche mille questioni organizzative; anche il nostro incontro di questa sera è organizzativo. Sappiamo benissimo, però, che non ci sarebbe nulla da organizzare se non esistesse un organismo vivo, vivente, palpitante, anche un po' scalpitante. Un organismo che qualche volta fa anche rumore, si muove, si agita. In questa ottica, allora, appare bella persino la fatica che ci sta davanti: la fatica di una ricchezza che ci è consegnata da trafficare perché a sua volta generi ricchezza da trafficare e così via. Credo che ciascuno di voi, quando sente parlare di oratorio, pensi inevitabilmente alla propria esperienza; ma, se appena si ferma un poco, visto che siamo in chiesa - anche questo per motivi organizzativi, ma non solo, perché il luogo è carico di un significato forte - il pensiero soggiacente è anche quello di riconsegnare l'oratorio, cioè la propria esperienza, la propria fatica, quello che abbiamo da fare, a Gesù e di metterci continuamente alla sua scuola.
La funzione sociale dell'oratorio
Recentemente, proprio l'estate scorsa, avrete avuto modo di seguire qualche notizia vibrante, addirittura qualche polemica (si erano, infatti, create delle tensioni all'interno dell'Azione Cattolica perché uno degli invitati era Gianfranco Fini) intorno a un convegno che si è tenuto nell'ambito dell'incontro del Papa con l'Azione Cattolica a Loreto. Il convegno si era svolto due giorni prima a San Benedetto del Tronto ed era stato organizzato congiuntamente dall'Azione Cattolica e dal Centro Sportivo Italiano sul tema “La funzione sociale degli oratori”. Io ero stato invitato a tracciare le conclusioni. Senza entrare nel merito delle polemiche, è bene ricordare che proprio in quella occasione si ebbe modo di affermare a chiare lettere che quando si dice oratorio, si presuppone certamente una funzione sociale, ma non solo! L'oratorio ha anche un suo ruolo sociale, che finalmente oggi viene riconosciuto grazie ad interventi legislativi, a livello sia regionale che nazionale, ma, è importante proprio qui sottolineare che l'oratorio è anche, ma non solo, funzione sociale.
L'oratorio alla luce del Mistero di Dio
L'oratorio esiste non solo e non tanto perché c'è un pezzo di società da salvare, oppure, detto in altri termini, siccome nella società è avvertito il problema della gioventù, che poi si chiami questione giovanile, disagio giovanile, o in mille altri modi, si parte sempre da qui quando il tema viene presentato in televisione, dai mass media. Poiché, quindi, i giovani rappresentano un problema delicato, allora si cerca chi ha le risposte. Ben venga a questo punto la Chiesa che ha dalla sua il Patronato, l'Oratorio, le Associazioni giovanili. Così si presenta l'oratorio come una risposta a un problema sociale. Attenzione: ciò concretamente avviene, ma nella Chiesa non c'è l'oratorio perché ci sono i problemi. C'è l'oratorio innanzitutto, perché c'è una Chiesa che ha una sensibilità educativa e vive la gioia di riconoscersi come madre di quei figli che Dio stesso ha generato. E dunque è bello parlare di oratorio in Chiesa. L'oratorio anche nella sua parola, nel suo nome, inventato da San Filippo Neri nel XVI secolo, è luogo della preghiera e molte volte l'oratorio è anche fisicamente quella chiesa annessa a quella parrocchiale, dove si ritrovano le congregazioni per pregare. Oratorio: luogo di un mistero, il mistero di un Dio che non è statico, ma è presente e attivo in questo nostro tempo, in questa società, dentro le nostre comunità, nonostante i nostri limiti. Il Signore ci guarda in faccia con i nostri difetti e quando pensiamo all'oratorio è Lui che ci dice: “Io non sono stanco di affidarvi i miei figli”. L'oratorio è quindi il mistero della fiducia di Dio che continuamente nel Battesimo affida alla Chiesa dei figli. E allora, qual è quella madre che non si cura dei suoi figli? Lo diceva già il Padre della Chiesa San Cipriano: “Non può avere Dio per Padre chi non ha la Chiesa per madre”. E lo stesso concetto viene espresso nel sacramento del Battesimo; a quello stesso mistero attingiamo la forza, le radici, la profondità dell'oratorio. Noi ci prendiamo cura di quelli che riconosciamo come nostri figli, che non sono nostri singolarmente, ma di noi tutti insieme. È una comunità cristiana che è madre e che ha un Dio come Padre. Potete intuire, allora, quale sia la qualità, la natura profondamente spirituale dell'oratorio. Alla luce di questo, è comunque positivo l'effetto che l'oratorio produce facendo del bene nella società, perché è come una buona madre che si occupa dei suoi figli: non se ne occupa un giorno sì e un giorno no, non se ne occupa una volta perché ha voglia e una volta no, non se ne occupa solo se i figli rispondono bene, ma se ne occupa sempre. Ed una buona madre così è un bene, per sé stessa perché risponde alla propria vocazione, per il padre di quei figli, per i figli stessi, per la società intera. Ecco così è la Chiesa che con l'oratorio incide anche nella società, rispondendo però alla sua propria vocazione di prendersi a cuore i ragazzi, di esprimere ogni attenzione fisica, morale, spirituale, economica anche, per vedere crescere i figli di Dio come persone autentiche.
Fra l'altro, nella società, e pensiamo a quella parte della società che ciascuno di noi vive, voi laici soprattutto, cioè al mondo del lavoro, del volontariato, del tempo libero, quando si trovano dei giovani ben educati, sensibili, generosi, che hanno voglia di impegnarsi per gli altri, che hanno quella serenità di fondo con la quale non hanno paura anche di affrontare qualche rischio, qualche sacrificio, tutti dicono: ma dove sono giovani così? Si farebbero carte false per averli tra i colleghi di lavoro, per affidargli delle responsabilità professionali. Ebbene l'oratorio si propone proprio questo: vedere crescere - diceva San Giovanni Bosco - buoni cristiani e onesti cittadini. E attenzione che i buoni cristiani si riconoscono poi da come si comportano nella società, ovvero se a scuola si impegnano, se in famiglia sono in pace, se pensano al loro futuro con responsabilità. E' chiaro allora che l'oratorio, cioè la Chiesa che è madre, che educa i suoi figli, realizza quel bene che poi la società intera riconosce come tale. Oggi nessuno più, essendo caduti anche gli steccati ideologici, osa negare che sia davvero un bene. L'educazione cristiana contiene in sé il massimo impegno della partecipazione anche alla vita sociale, la capacità di giovani di prendersi a cuore la vita di tutti gli altri. Ecco perché, allora, interpretato alla luce del mistero di Dio, possiamo affermare che l'oratorio è anche una funzione sociale.
È molto importante, come dicevo poc'anzi, che recentemente, nella storia di questi ultimi anni, anche le istituzioni pubbliche abbiano formalmente e sostanzialmente riconosciuto il valore e la rilevanza che assumono gli oratori in quanto tali nel tessuto sociale. Una delle prime leggi regionali in questo contesto ha proprio questa titolazione “Il riconoscimento della funzione sociale ed educativa degli oratori” del 22 novembre 2001, legge della Regione Lombardia, cui hanno fatto seguito diverse altre leggi regionali. Nell'agosto 2003 anche il Parlamento dello Stato Italiano ha siglato al riguardo la “legge 206”, all'iter della quale ho potuto contribuire personalmente con un'audizione alla Camera dei Deputati l'8 maggio 2002.
Attenzione però, anche in questo senso noi non possiamo affermare di fronte alla società: c'è un oratorio perché c'è una legge. La legge non stabilisce come devono essere gli oratori, che cosa debbano fare. È interessante che il concetto cardine di quella legge è il riconoscimento: si riconosce ciò che c'è già, e così si dice in altri termini, anche per l'oratorio, la sussidiarietà. C'è un soggetto che è presente, che è vivo, che è attivo, che per quello che è e che fa, senza bisogno che nessun altro gli insegni che cosa deve fare e come, fa del bene a tutti, del bene fruibile e riconoscibile dalla società. È importante rilevare questo concetto, perché alcune volte un facile cortocircuito sulla interpretazione di questi riconoscimenti legislativi degli oratori, dei patronati (sono riconosciute con la legge tutte le realtà, anche di altre confessioni religiose: era necessario questo, data la matrice non confessionale che ha lo Stato nel promulgare le sue leggi), può far pensare che finalmente possiamo far bene l'oratorio perché lo Stato fa qualcosa per l'oratorio. Non è così. Semmai lo Stato sente come un proprio impegno - siccome gli oratori ci sono già - di favorire che quello che gli oratori fanno sia un bene anche per gli altri e di mettere ogni oratorio in condizione di farlo: garantire risorse economiche, possibilità di utilizzo di beni pubblici, mobili e immobili e, a dire la verità, non molto di più (nella legge statale non c'è moltissimo riguardo a fondi e finanziamenti perché rimanda alle leggi regionali).
L'oratorio, come abbiamo visto, nasce dalle viscere materne di Dio e, in virtù di questo, viene riconosciuto nella sua capacità concreta, fattiva, come avviene con una buona madre che non si limita a pronunciare belle parole, ma con i fatti cresce robusti e convinti i suoi figli. Perciò anche lo Stato, anche la società civile riconosce l'oratorio.
E poi il Papa, forse lo ricorderete, un po' a sorpresa, nel 2000, quando si era appena conclusa la Giornata Mondiale della Gioventù (tutti si ricordano di Roma, Tor Vergata, con milioni di giovani): una settimana dopo, mentre era in vacanza a Castel Gandolfo, incontrò i giovani della diocesi di Albano Laziale, e lì, mentre tutti parlavano ancora della Giornata Mondiale della Gioventù, lui ha riportato subito l'accento su un modo quotidiano, non straordinario come era stata ovviamente la Giornata Mondiale, che molte comunità possono vivere, di stare vicino, di accompagnare, di guidare, di vedere protagonisti i propri giovani, i propri ragazzi i propri adolescenti. A quel punto il Papa parlò proprio dell'oratorio e, volendo rilanciare la missione degli oratori, li definì “un ponte tra la Chiesa e la strada”, un'espressione poi diventata famosa e utilizzata molte volte. E' stato interessante, però, cogliere che questa definizione veniva introdotta come integrazione di quei momenti eccezionali, straordinari, che sono quelli in cui tutti dicono “che bella la Chiesa con i giovani”. La Chiesa, però, non è con i giovani solo quando il Papa li raduna una volta ogni tre anni, ma la Chiesa è ogni giorno laddove i giovani vivono le grandi sfide della loro esistenza, dove fanno fatica ad andare avanti o dove, se non fanno fatica, vorrebbero veder riconosciuta un po' di più la propria capacità di portar avanti anche la Chiesa, la comunità e anche gli altri. Quindi ci sono sfide che oggi rappresentano la vita quotidiana dei ragazzi: “Che senso ha la mia vita? Come faccio ad essere felice? Perché mi annoio? Che cosa potrà interessarmi? Che significato ha se sono innamorato o no?”. L'oratorio è il modo quotidiano di una Chiesa che è vicina ai ragazzi dove vivono, ma che è accanto soprattutto alle vie più nascoste dove passano queste domande, dove pulsano nel cuore queste provocazioni, che rischiano di cadere nel vuoto della solitudine, in cui non trovano interlocutori, se non interessati perché hanno qualcosa da vendere. L'oratorio è invece la testimonianza quotidiana, qualche volta anche un po' grigia, non sempre organizzata benissimo (anche se giustamente riteniamo importante che l'oratorio sia testimonianza pure di una buona capacità strutturale e ben articolata di stare vicino ai ragazzi), di una grande passione educativa che si gioca dove passa la vita dei ragazzi con le loro luci e le loro ombre, dove ci sono quelli educati, ma dove ci sono anche quelli poco educati. Ecco, tutto questo rappresenta, in sintesi, la ricchezza e la grandezza dell'oratorio, che riesce a unire la sua matrice ecclesiale e spirituale con quella sociale. Questa è la matrice propria di chi non solo sa dire belle parole, stendere ambiziosi programmi sulla gioventù, ma di chi vuole anche rimboccarsi le maniche, seppure ciò può significare affrontare mille delusioni. Tutto questo comporta vivere un'autentica passione educativa. Chi di voi è genitore, chi di voi è insegnante a scuola, chi di voi è responsabile o animatore nei circoli e negli oratori sa benissimo che nove giorni su dieci non è che si cantino sempre l'Alleluia o il Te Deum. Sorgono e si intrecciano tra loro cento dubbi: “Non so capirli questi ragazzi…”, “ho fatto cinque proposte e non vanno mai bene…”. Eppure c'è questa passione educativa, questa Chiesa interpretata da mille volti, mani e cuori che costruiscono poi l'oratorio. Spesso i giornalisti mi chiedono: “Chi va all'oratorio? Cosa c'è di nuovo all'oratorio? Quanti sono i frequentanti dell'oratorio?”. A me piace subito spostare un po' il discorso e rispondere alla domanda con un'altra domanda: “Secondo voi, chi fa l'oratorio?” Non c'è l'oratorio senza chi lo fa. Da questo punto di vista l'oratorio è uno spettacolo bellissimo di un volontariato in grandissima parte, oserei dire nell'assoluta maggioranza, gratuito, con persone che mettono a disposizione le proprie risorse di tempo, di denaro, di pazienza e di intelligenza per educare altri.
Oggi si battono facilmente le mani a chi spende tempo nel volontariato assistenziale, in quello per i beni culturali, in quello per i beni ambientali. A me piace dire ai giornalisti che c'è una schiera di persone che dedica il proprio tempo al volontariato educativo e che si tratta di una missione formidabile, nel senso che fa anche un po' paura, che è un'avventura che non si sa mai bene quando e come finisce. Eppure all'oratorio ci sono presone che si spendono in questa avventura. Non gli unici, non da soli; certo ci sono anche le associazioni, ci sono le benemerite istituzioni che si occupano dei ragazzi, ma anche gli oratori sono protagonisti nell'ambito del volontariato educativo. Per realizzare che cosa? Per fare che cosa?
Oserei individuare quattro coordinate sulle quali si fonda la realtà dell'oratorio:
oratorio è un po' chiesa, è un po' casa, è un po' scuola ed è un po' strada.
Oratorio è Chiesa
Intanto, e l'abbiamo detto già in buona parte, l'oratorio è un po' Chiesa per la sua stessa natura, che vi ho detto prima, e cioè perché nella chiesa parrocchiale c'è il fonte battesimale; quindi lì Dio ha affidato a qualcuno i suoi figli. L'oratorio è Chiesa e ce ne accorgiamo, diciamo anche simpaticamente, se dobbiamo trovare l'oratorio tra le vie di un paese, di una città. Come facciamo? Sempre, quando chiedo la strada per un oratorio, mi dicono: “Guarda, dove vedi il campanile, proprio vicino al campanile vedrai i riflettori, le porticine, il campo”. Non c'è oratorio senza la vicinanza, spesso anche strutturale, con l'edificio della chiesa. L'oratorio è Chiesa innanzi tutto perché è comunità credente, perché è insieme di persone che credono e che educano. Non c'è oratorio solo dove c'è il prete eroe, la suora intrepida, qualche santo educatore dalla capacità carismatica di tirarsi dietro tutti i ragazzi. Forse qualche esempio così c'è ancora, ma non è il migliore degli esempi di oratorio. C'è un oratorio dove c'è Chiesa, e sapete che la parola Chiesa significa “assemblea”, vuol dire che l'oratorio è là dove c'è un insieme il più possibile organizzato, coordinato, pensato, ben distribuito di capacità, di attitudini, di volontà, di ministeri, di servizio alla vita dei ragazzi e dei giovani. E allora si fa oratorio, perché uno porta avanti l'attività sportiva, un altro il teatro, uno coordina i catechisti, uno più esplicitamente nella catechesi annuncia il Vangelo, un altro più specificamente, ma non meno efficacemente, lo mette in scena nei momenti di volontariato. Capite, uno non è mai solo, già nella sua testimonianza: l'oratorio è fatto da persone diverse e dunque è un insieme, una Chiesa. Pensate che cosa significa allora che l'oratorio sia Chiesa proprio oggi, in un tempo in cui tutti i ragazzi che conosciamo sono portatori qualche volta sani, qualche volta no, di una terribile e insidiosa malattia, che si diffonde nell'aria, nella cultura in cui siamo immersi e che si chiama individualismo. Quella cultura che ti fa credere che si diventa grandi solo se ci si distingue dagli altri, solo se “io esiste”, come diceva la pubblicità - mi sembra - di un'automobile, oppure quell'altra dell'“uomo che non deve chiedere mai!”. Individualismo: il successo nella vita fino a emergere, emergere, emergere, ma fino a quando? Fino al punto in cui si è così esclusivi da essere soli. Capite, allora, come si insinua il male sottile dell'individualismo? Ebbene quando noi ci mettiamo ad accompagnare la vita dei ragazzi, lo facciamo come Chiesa, non da soli, ma insieme. Io non potrei fare niente nella diocesi e negli oratori di Milano se non attraverso la concertazione bellissima e poliedrica di catechiste, animatori, genitori, responsabili dei bar, dei circoli, dell'attività sportiva… Che bello, un popolo variegato che educa proprio perché è insieme. Ed educa all'insieme. L'oratorio è Chiesa perché chi va all'oratorio capisce subito che non esiste lui da solo, ma che lui esiste insieme agli altri. Questo stile emerge anche da come si gioca. Non so se anche qui, ma nella diocesi di Milano, con il Sinodo Diocesano 47°, si proibirono i videogiochi nei bar degli oratori. E perché? Perché avviene che di fronte al videogioco uno ci si piazza davanti… ed è solo lui. E invece se non altro con il “calcio balilla”, o il “tam-tam”, o il ping-pong, bisogna essere almeno in due per giocare all'oratorio. Ricordate la “canzoncina” di Elio e Le Storie Tese, che forse avrete sentito questa estate: “all'oratorio si canta almeno in tre”.
Oratorio è casa
Poi l'oratorio è casa: se un oratorio funziona bene, i ragazzi ci stanno come a casa loro, nel senso che non ci stanno con il cronometro fino al 59° minuto del catechismo per poi fuggire via, ma si intrattengono volentieri e sentono che si respira aria familiare. Ogni oratorio si riconosce dal clima che c'è; quello di casa nostra sappiamo che non è facilmente riproducibile, non si può comprare o produrre in laboratorio, e non lo si può mettere nello ionizzatore dell'aria perché si diffonda “magicamente”. L'atmosfera di casa vuol dire molte cose, vuol dire quella Chiesa di cui parlavamo poco fa; se è Chiesa siamo fratelli, se siamo fratelli abbiamo cura uno per l'altro, ma anche responsabilità, perché ciascuno sente di doversi impegnare lui per primo. A chi non è mai capitato di imbattersi in quegli adolescenti o ragazzi delle medie - che hanno spesso quelle facce un po' segnate - che arrivano in oratorio e dicono: “Ueh, non c'è nessuno…” e magari ci sono lì una cinquantina di persone, ma per loro “non c'è nessuno” perché non c'è nessuno di quelli che hanno in mente loro. E subito dopo cosa dicono? “Ueh… ma qui è un mortorio!” Allora la battuta pronta: “Eh, bravo, e tu cosa ci metti perché sia più vivo? Tu sei uno di quelli che vorresti trovare venendo all'oratorio?”. Bisogna far sentire i ragazzi protagonisti dell' “aria che si respira” come a casa, anzi di più. Le mamme presenti qui potrebbero confermarlo. Dicono spesso ai figli affaccendati e in po' nomadi: “questa casa non è un albergo”. Già, la casa non è un albergo perché ci sei anche tu, sei parte attiva, e così deve essere anche all'oratorio. L'oratorio è casa perché ha in qualche modo il carattere, la sensibilità e il temperamento di tutti quelli che vi sono dentro. All'oratorio nessuno è un cliente… E così l'oratorio è casa anche perché è gratis. Dove si trova oggi un posto nel quale, appena entrati, non si chieda “quanto costa?”. E magari si è già pagato il biglietto prima. L'oratorio non è così, ci pensate? È gratis anche in senso letterale, perché non si sborsano soldi dalle tasche. Certo ogni tanto i soldi servono anche all'oratorio e ben venga che anche i ragazzi imparino a metterceli, visto che li spendono per tante altre cose. Però il clima che si respira è quello della gratuità. Ricordo in un oratorio una scritta su un muro, che era stato riservato ai messaggi liberi che i ragazzi volevano affiggervi: Qui gli amici sono gratis. Subito sotto c'era il listino prezzi dei gelati, però gli amici erano gratis! Ecco perché l'oratorio è casa.
L'oratorio è casa anche perché a casa ci sono i genitori e l'oratorio non si propone qualcosa d'altro di ciò che interessa anche i genitori dei ragazzi. Non solo, l'oratorio si propone di essere a sostegno, a integrazione, a completamento dell'attività educativa dei genitori, senza prescinderne, senza trascurarla, senza cancellarla. Non può esserci un oratorio senza un rapporto, sappiamo quanto difficile da cercare e da trovare, con le famiglie e i genitori dei ragazzi. Però è anche vero che l'oratorio non è tout court, pari pari, la stessa vita domestica che i ragazzi trovano a casa loro. Analoga è però la preoccupazione che vivono i genitori, quella cioè di veder crescere bene i propri figli in una comunione di vita stabile, affettivamente certa, custodia sicura di buoni valori.
Oratorio è scuola
Poi, ancora, l'oratorio è un po' scuola. Questo è il lato meno simpatico. Quante volte lo sentiamo dire: “Il catechismo assomiglia un po' troppo alla scuola, e se è così i ragazzi non vi partecipano volentieri”. Però, non neghiamolo, a scuola si va per imparare e anche all'oratorio si va per imparare. L'oratorio ha anche dei contenuti da dare, da offrire, l'oratorio non c'è solo quando si dice ai ragazzi: “Cosa volete che facciamo?”. Ma quando qualcuno sa che cosa comunicare a quei ragazzi. Quindi dà qualcosa in più di ciò che sta già nella vita dei ragazzi e suscita il gusto di imparare, di apprendere. In questo senso è importantissimo il catechismo ed è importantissima l'esperienza spirituale. A pregare si impara. L'oratorio è fatto anche - e soprattutto - per questo. Quando un ragazzo impara a pregare, poi ha un respiro che lo accompagna tutta la vita. Anche quando sarà adulto, anche quando insegnerà ai suoi figli a pregare. Perché la “scuola”, all'oratorio, è scuola di tante cose che non si apprendono solo sui libri. Peraltro, qualche libro ci deve essere anche all'oratorio, dove si stima e si realizza anche l'attività culturale e intellettuale, magari rappresentata in cento modi diversi. Insegnare può significare far apprendere ai ragazzi suonando o cantando, ma intanto apprendono, intanto imparano. L'oratorio è anche scuola di vita. Come a casa non solo si prende qualcosa, si mangia, si ricevono dei servizi, ma anche e soprattutto si vive, così l'oratorio è capace di mettere in scena delle situazioni di vita nelle quali si impara. Che cosa? A vivere come ha fatto Gesù, a perdonare come ha perdonato Gesù. Un'estate, durante un oratorio estivo, il Grest, nella parrocchia dove ero vicario parrocchiale, non avevamo la mensa per il pranzo. Dopo una settimana è andato via una ragazzino di prima media, perché la mamma lo aveva iscritto alla colonia del Comune perché lì c'era la mensa. E questo ragazzo era molto triste e non voleva andarci. Io cercavo di incoraggiarlo, dicendogli che anche il comune avrebbe trovato dei bravi animatori, ma lui mi ha detto: “Eh sì don, ma non sai che là se due litigano nessuno li divide.” Lì ho capito che grande scuola è l'oratorio. Ho capito che attraverso gli occhi e la coscienza di un ragazzino era passata l'idea che all'oratorio si impara a perdonare. E questo non è forse il Vangelo? “Settanta volte sette”! Perché “all'oratorio quando due litigano qualcuno li divide”: non basta dire che c'è un valore, ma bisogna metterlo in pratica. Anche nelle piccole cose, come, ad esempio: “Se non fai la pace, non fai la merenda”. All'oratorio, in quanto scuola, si imparano cose che ti servono per la vita.
L'oratorio è scuola, anche perché - soprattutto dove i ragazzi frequentano l'oratorio del loro territorio, vicino a casa e vicino a scuola - è molto utile e molto opportuno che qualcuno dell'oratorio stabilisca dei rapporti con la scuola, elementare e media soprattutto, con gli insegnanti di religione, con il preside se si può, per stabilire magari dei punti di contatto, instaurando così un lavoro di rete. Si sente tanto parlare di lavoro di rete ed è importante che un oratorio non si senta un'“isola che non c'è”, un luogo “magico” di un altro pianeta. Oggi tutti sanno benissimo che quel ragazzo, quel preadolescente che si educa è lo stesso studente che va a scuola, è il figlio che è in famiglia, è il giocatore in erba della società sportiva, ma è anche il nostro ragazzo dell'oratorio. Se ci mettiamo virtuosamente in collegamento con tutti gli altri che si preoccupano della sua educazione, riusciremo forse a qualcosa. Oggi anche l'oratorio non basta da solo; ci vuole un po' di capacità di allacciare rapporti diretti, progetti comuni, interventi nei casi di emergenza, sussidiarietà. Sotto questo punto di vista, a mio parere, gli oratori devono crescere ancora. Siamo un po' abituati, come in passato, a fare tutto da soli come se noi fossimo gli unici e i più bravi, invece dobbiamo riconoscere che ci sono oggi tanti educatori professionali, insegnanti, assistenti sociali, associazioni e istituzioni del territorio, ecc., con i quali aprire un dialogo fecondo ed efficace ber il bene delle giovani generazioni.
Oratorio è strada
Infine, riallacciandomi al discorso del Papa, l'oratorio è anche strada. L'oratorio sorge, spesso materialmente, vicino al campanile, ponendosi come una soglia che dà su una strada. E noi sappiamo quanto pericoloso sia se è troppo vicino alla strada… Ma ciò ha anche un significato molto profondo: strada vuol dire anche informalità, evoca quegli aspetti che facciamo fatica a considerare nella vita dei ragazzi, che sono incontrollabili e incontrollati, che rivelano anche quel bisogno di libertà che si esprime - che lo si voglia o no - al di là del nostro controllo, negli ambiti della trasgressione, alla ricerca di confini che poi, se non ci sono, generano guai seri. Voi sapete che uno dei problemi rilevati dai pedagogisti nelle nuove generazioni è che, siccome inizia troppo presto la de-strutturazione, l'assenza di ogni regola, a volte già in casa, i ragazzi vanno in tilt psichiatrico: senza regole non crescono. Però è anche vero che ogni tanto dobbiamo forse eliminare alcune regole. L'oratorio è un ponte prospiciente alla nostra strada, è una sorta di zona continuamente attraversabile da dentro a fuori, da fuori a dentro. Non è un recinto invalicabile. Quella strada così intesa come destrutturazione, i ragazzi se la portano dentro, anche i nostri più bravi, anche quelli che già fanno gli educatori, anche loro hanno dentro una “strada” che è ora è l'ebbrezza, ora la confusione, ora l'euforia, ora la chiusura in se stessi…; ciascuno fa esperienza di una “strada” verso la propria vera libertà che cerca i suoi confini, cerca come decidersi, cerca quei sì e quei no grazie ai quali la vita diventa una vita benedetta, decisa, voluta. Quanto è difficile oggi questo! Bene, l'oratorio sa essere un ponte tra la chiesa e la strada. Questo però, bisogna dirlo lasciandoci un po' provocare. Dire strada vuol dire ciò che abbiamo sotto casa in maniera piuttosto indistinta.Cioè vuol dire anche una serie di problemi, la piccola devianza, la piccola delinquenza, quel subbuglio di gioventù non educata che oggi c'è e si fa notare spesso scomposta, rumorosa, sprezzante. Quand'ero all'oratorio nella periferia nord di Milano, alla Bovisa, litigavo talvolta con le mamme che tenevano il bar dell'oratorio. Erano generosissime e volonterose. Facevano i turni due volte la settimana, ma ogni tanto venivano da me e dicevano: “Don Massimiliano, adesso basta: o lei manda fuori quel ragazzo o io non vengo più. Perché me l'ha fatta ancora in barba, è venuto a rubarmi le patatine, mi ha preso in giro”. E io un po' litigavo amabilmente, perché sentivo in questa mamma una difficoltà sì, ma non del tutto vera. Allora le dicevo: “Ma Carmela, se quello fosse tuo figlio, cosa faresti? Andresti da tuo marito e gli diresti: “Basta, vado via di casa se adesso tuo figlio non si comporta bene”? No, cercheresti mille modi per insegnare l'educazione a quel ragazzo lì”. Oppure arrivava qualcuno mentre ero in classe per il catechismo a dirmi: “Don, vieni, perché hanno bestemmiato, eh, all'oratorio non si bestemmia”. Certo, non c'è bisogno di scriverlo fuori, è ovvio, no? Succede un fatto, chi è lì lo affronta. Tutti hanno una capacità educativa, i genitori stessi la sviluppano, ma chissà perché quando si trovano all'oratorio viene loro un complesso di inferiorità, sembra che non siano più in grado di affrontarlo da soli. Perché forse ci illudiamo di trovare all'oratorio quelli già educati che si comportano sempre bene e che rispondono subito bene alle nostre proposte. Invece oggi mi sembra che l'oratorio sappia stare come un ponte sulla strada quando, con molta acutezza, sa intercettare anche quei vuoti di educazione che si presentano.
Ancora a quelle mamme dicevo: “Se a casa tua suonano e vedi dallo spioncino uno che è vestito male, che è un po' maleodorante, che ha la faccia sporca e che non mangia da qualche giorno, che cosa fai? Ti fai un po' di coraggio, ma gli dai aiuto, perché ti hanno insegnato che la carità cristiana non è solo dir belle parole, non è solo far offerte in Chiesa; gli darai da mangiare, se ha fame”. Ecco, oggi spesso i comportamenti difficili, trasgressivi e un po' scostanti di certi ragazzi rappresentano la povertà dell'educazione. E, come se uno è povero di pane gli dai da mangiare, così se uno è povero di educazione cominci a dirgli: “Guarda che qui ci si comporta così”. Il modo migliore per tradire chi ha bisogno di educazione è quello di far finta di niente, di non richiamare le regole, essere più deboli. L'Oratorio invece deve essere anche capace di sostenere qualche strappo, se c'è. Attenzione che non c'è solo quello: ci sono anche molti ragazzi che l'educazione l'hanno ricevuta e assimilata e possono metterla a disposizione degli altri. Ragazzi apostoli di altri ragazzi, coinvolti al servizio, con il loro impegno, di altri coetanei.
Dunque oratorio è chiesa, casa, scuola e strada. Ho detto quadridimensionale, ma mi piace pensare che ci sia anche una quinta dimensione. L'oratorio è anche oltre, oltre tutto questo. Ritorniamo così alla frase con cui abbiamo cominciato, cioè l'oratorio è anche un mistero. È un mistero di quell'oltre che è la vita del ragazzo che tu incontri al tuo oratorio, che va verso dove tu non sai ancora, ma con la fiducia, e insieme il santo timore, di chi sa che Dio ha preparato per lui una strada, un disegno, e tu fai il tifo per quel ragazzo, perché incontri e decida per quel disegno che Dio ha pensato. Ed è utile quello che tu puoi fare. Un oratorio che è oltre, perché sa benissimo che oltre a quello che riesce a fare c'è molto altro che continuamente ci chiama a una missione infinita. E infine l'oratorio è oltre perché sa che per fare tutto quello che deve non basta l'organizzazione, non bastano i soldi, non basta la capacità di ciascuno, ma bisogna mettersi anche un po' in ginocchio. A invocare quell'Oltre - con la maiuscola - dal quale viene ogni bene che fa della Chiesa una madre capace di crescere i suoi figli.
Intervento di Fabio Dovis, consigliere nazionale AC, al seminario di studio L'ACR e l'Oratorio nella vita delle chiese locali svoltosi a Gussago (BS) il 4 Novembre 2006.
Riflettere sul rapporto Oratorio e ACR mi ha portato innanzitutto a pensare a quella che è stata la mia esperienza di ragazzo “cresciuto in parrocchia” e che ha vissuto un'esperienza di oratorio e di gruppi di catechesi e poi di ACR negli anni delle scuole medie.
Se penso all'oratorio penso innanzitutto a un luogo fisico, fatto di un campo di calcio, di sale salette e saloni nei locali della mia parrocchia. E poi penso a un tempo trascorso in quei locali, al pomeriggio della domenica, quando in assenza di altre opportunità esso rappresentava il momento di svago in cui andare a incontrare gli amici.
Per quanto riguarda il cammino di catechesi, confesso di avere pochissimi ricordi degli anni in cui ho seguito il cosiddetto “catechismo tradizionale”, mentre ho parecchi ricordi legati al cammino ACR (nella mia parrocchia offerto come post-cresima) delle iniziative portate avanti nei mesi del Ciao e della Pace.
Ho voluto partire da questi miei ricordi, non per amarcord, ma perché queste due esperienze sono state per me, e credo per molti altri con cui le ho condivise, esperienze belle e che certamente hanno aiutato la mia crescita da cristiano e il mio cammino di fede.
E mi dà anche modo di chiarire cosa intendo parlando di oratorio, parola che a talvolta viene usata per indicare la somma di tutte le attività di pastorale giovanile, con una genericità che non aiuta a capire la complessità dell'esperienza e non permette di affrontare i singoli problemi in modo analitico.
Come lo è stato per me, credo che sia avvenuto per molti altri, eppure se oggi guardo la mia parrocchia, e molte delle altre nostre parrocchie, in molti casi queste proposte fatte ai ragazzi sembrano essere diventate meno appetibili.
E' indubbio che ci sia un indebolimento della partecipazione dei ragazzi alle proposte delle parrocchie siano esse oratorio o gruppi formativi.
E sarebbe a parer mio semplicistico attribuire le colpe di questo disinteresse esclusivamente alle famiglie, poiché per molti versi i ragazzi mi sembra godano di molta più libertà (e libertà di scelta) che in passato.
Sappiamo bene che la partecipazione per dovere a un gruppo di catechesi o a un'attività oratoriale, mal si concilia con l'annuncio dell'amicizia di Gesù che si vorrebbe testimoniare, e i risultati si vedono ad esempio con i tassi di abbandono dei gruppi di formazione, una volta sciolti dal “ricatto” del sacramento.
Personalmente, senza una inversione di tendenza nelle offerte formative delle nostre comunità locali, credo sia un fenomeno destinato ad allargarsi, come già si coglie dal calo di richieste dei sacramenti, (con fenomeni di punta nelle grandi città).
Pur senza addentrarci in analisi sociologiche il contesto attuale della realtà giovanile, dei bambini e dei ragazzi, vorrei riferirmi a quella che, parlando della cultura moderna, Enzo Bianchi ha definito una “società liquida”, in cui tutto si mescola e tutto sembra avere lo stesso sapore; i continui e sempre più insistenti richiami del Santo Padre a porre l'attenzione al fenomeno del relativismo, credo si adattino bene anche a descrivere la realtà dei ragazzi oggi: molteplicità di proposte (sport, musica, attività post scolastiche), linguaggi di comunicazione che se non governati si riducono a puro lessico e sono incapaci di veicolare messaggi profondi, confronto con altre culture e religioni, ritmi di vita in cui il tempo per essere bambini, sembra essere solo tempo sprecato.
Eppure in questo contesto e in questo tempo a noi è dato di custodire un tesoro e una certezza: il tesoro è che la salvezza di ogni uomo che viene da Cristo, che non è solo una speranza futura ma è in grado di dare senso anche alla “liquidità” della nostra vita. E a noi è chiesto di condividere questo tesoro con i piccoli della comunità.
La certezza è che anche in questi giovani c'è lo spirito di figli di Dio che ricerca l'amore del Padre, c'è la voglia di senso, ci sono talenti importanti da imparare a valorizzare.
E' necessario un progetto educativo integrato per i ragazzi, che sia strettamente legato alla loro vita.
Lavorare per progetti è diventata una consuetudine, eppure nelle nostre parrocchie si fa fatica ad avere progetti integrati, dove si trova il giusto equilibrio tra il progetto complessivo e rispetto delle diversità (di carisma, di destinatari), l'equilibrio tra proposte strutturate e altre più occasionali.
Un progetto non è un programma o un calendario ma un cammino verso un obiettivo, con tappe intermedie, alla realizzazione del quale vari attori intervengono in momenti diversi, in modi differenti e oserei dire a livelli differenti. Infatti quella che mi sembra essere oggi la difficoltà, è quella di pensare a percorsi che non sono lineari nel loro svolgimento ma che affrontino con realismo la “liquidità” del nostro tempo.
I ragazzi che si affacciano all'oratorio o partecipano ai gruppi partono da situazioni di conoscenza e consapevolezza del discorso di fede molto differenti; eppure Gesù ha qualcosa da dire a ciascuno di loro.
Questo non significa avere uno sviluppo smisurato di iniziative e attività, (spesso realisticamente anche non sostenibili con le forse che le parrocchie possono metter in campo), ma cercando di avere un progetto che faccia crescere le persone dal di dentro, piuttosto che cercare di far arrivare dell'esterno un messaggio fatto di molte risposte.
Nel concreto, mi sembra che si debba sempre mantenere un'attenzione costante alle domande profonde dei ragazzi (siano esse domande di vita e di fede), e in questo giocano un ruolo fondamentale animatori ed educatori, che sulla base di propria maturità di fede sanno guardare oltre le attività di oratorio e del gruppo per coglierne la valenza all'interno del complessivo progetto educativo alla fede.
Mi verrebbe da dire che sia necessaria una strategia multilaterale in cui azioni variegate (nei modi e nei tempi) contribuiscono al progetto complessivo di far incontrare Gesù ai ragazzi.
Oratorio e ACR hanno valenze differenti, che vanno giocate in modo coordinato in un progetto di pastorale parrocchiale. L'esperienza oratoriale consente certamente una maggiore flessibilità, è in grado di arrivare a un grande numero di ragazzi, può diventare crocevia di esperienze della comunità parrocchiale giovane e adulta, e occasione di scambio tra realtà diverse che convivono nella parrocchia, e molto altro. Un oratorio che è riferimento, luogo e tempo di un'esperienza significativa cioè che lascia un segno (che deve essere poi rielaborato e va poi coltivato, fatto maturare,…).
Dall'altro lato, il cammino di gruppo richiede fedeltà e impegno, chiede al ragazzo di passare dal “Mi piace” al “ci stò”.
Il cammino di gruppo è di per se un valore, come luogo in cui si intessono relazioni, in cui si fa esperienza del dialogo, del confronto e della condivisione; è “identità” e impegno condiviso.
Queste non sono proposte per ragazzi di serie A e di serie B, ma se inserite in un progetto di pastorale rispondono all'esigenza di una diversificazione dell'annuncio, e sono espressione di una globalità della vita di fede.
L'esperienza ci dice che, in alcune diocesi, uno dei valori aggiunti della proposta associativa dell'ACR rispetto ad altri itinerari differenziati di catechesi, è proprio in quel suo integrare attività che si avvicinano all'oratorio, anche laddove questo non è presente in modo strutturato. La proposta dell'ACR non può liofilizzarsi un'oretta alla settimana, ma diventa spesso gioco, momento di gruppo, preghiera, merenda, etc..
E questo anche a livello di proposta complessiva: l'itinerario di carità (Iniziativa Annuale) è occasione di apertura alla comunità, di attività espressive e manuali, e diventa spesso il tratto caratterizzante dell'esperienza associativa rispetto ad altre proposte di gruppo per i ragazzi.
Per poter sviluppare un progetto coordinato che si giochi tutte le valenze due mi sembrano le attenzioni fondamentali da avere, perché il progetto sia costruito sui ragazzi e a partire dai ragazzi piuttosto che solo su un coordinamento dei calendari e delle attività:
Sfuggire alla logica del marketing e della concorrenza interna
Può sembrare scontato, perché per definizione nelle parrocchie ci vogliamo tutti bene e lavoriamo per lo stesso obiettivo, dimenticando spesso però che i soggetti sono i ragazzi, le loro persone e che gli stessi ragazzi che vanno al gruppo sportivo, si ritrovano sotto casa o stanno tutto il giorno in chat, sono quelli del gruppo ACR o del coro e del gruppo di teatro. Il mettersi in concorrenza con le altre proposte che la vita fa ai ragazzi non fa altro che dare un'ulteriore rimescolata alla “liquidità” della vita dei ragazzi e trasforma le parrocchia in un centro di servizi. E l'effetto è ancora più deleterio se gruppi ACR e oratorio diventano (più o meno esplicitamente) due proposte alternative e scoordinate anche se non mutuamente esclusive.
Abbattere i muri
La seconda attenzione, è in parte una conseguenza della precedente. Se facciamo nostro uno stile di non-concorrenzialità, le proposte siano esse oratorio o gruppo ACR devono non solo tenere conto della realtà dei ragazzi, ma essere a questa strettamente collegate per partire da esse alla scoperta dei segni della presenza del Signore, e tornare ad esse attraverso il servizio e la testimonianza cristiana personale (anche a livello di bambini e ragazzi).
Un tempo si diceva di “aprire i cancelli” delle parrocchie per far entrare i ragazzi e i giovani: l'immagine è bella ma la storia ha dimostrato che laddove non c'era un progetto di pastorale serio, i danni sono stati maggiori dei benefici. Io direi che oggi sarebbe meglio “abbattere i muri” e tornare a concepire le parrocchie non come luogo fisico di locali in cui si svolgono le attività, ma come territorio, come quel pezzo di città o di paese (e questo credo valga in generale dai bambini, ai ragazzi agli adulti).
A livello operativo, questo ci chiede di considerare e collaborare con tutte le agenzie educative e non (scuola, gruppi sportivi, ) che si occupano di ragazzi, di partecipare ai tavoli sulle politiche per i ragazzi, o di farsene promotori, di coinvolgere la comunità, di avere chiarezza sul contributo specifico che come educatori cristiani possiamo portare: tutto questo nell'interesse del ragazzo, della sua persona, una, e fatta di umanità e spiritualità.
Questa attenzione è certamente quella più sfidante ed è quella che ci mette più in difficoltà, perché da un lato ci chiede di rifocalizzarci sulla nostra identità e sul nostro specifico, e dall'altro chiede uno sforzo di impegno e risorse che ci sembra di non poter mettere in campo nel contesto presente.
Eppure con il coraggio di fare delle scelte di priorità, talvolta di selezionare, coordinando le attività dei gruppi e dell'oratorio e soprattutto abbandonando i metri di misura di efficacia tipici “del mercato” (quanti siamo?) qualche passo in questo senso dovremmo cominciare a farlo.
Se così non fosse rischiamo di concretizzare la pastorale delle nostre parrocchie in una serie di iniziative “nell'agenda”per i bambini e ragazzi, che ripropone una versione forse più brutta ma certamente “più buona” di altre iniziative della settimana dei ragazzi.
Per concludere vorrei rifarmi allo slogan dell'ACR di quest'anno, affiancandovi però anche il senso del coraggio.
Non mi piace pensare a svolte epocali, o a momenti topici che poi spesso si rivelano bolle di sapone, perché grazie a Dio la storia evolve con i suoi tempi e ci chiede sempre un continuo sforzo di novità. Mi sembra comunque stia maturando una consapevolezza che nel campo dell'educazione alla fede dei bambini e dei ragazzi sia il momento di intraprendere strade nuove, e certamente di elevarne il livello di qualità.
Il primo passo mi sembra quello di avere il coraggio della verità, cioè di guardare in faccia la situazione delle nostre comunità cristiane, il coraggio di selezionare, di verificare e di difendere il senso delle proposte e il coraggio di fare proposte alte anche per i ragazzi.
Sulla significatività ci giochiamo la credibilità della proposta. Un luogo e un tempo sono caratterizzati da cosa contengono.
E necessario secondo me spolverare un po' di poesia dall'idea di oratorio e lavorare su progetti concreti che tengano conto delle condizioni al contorno (tempi, occasionalità della partecipazione, attività possibili) per calare l'annuncio del Vangelo in questo contesto.
Parallelamente a questo una parrocchia deve essere in grado di offrire seri cammini di gruppo (e anche di ACR nello specifico) che mettano al centro i bambini e i ragazzi, li accompagni nell'incamminarsi alla sequela del Signore.
E per credere che questa sia una strada possibile, ci vuole il coraggio di scommettere sulla bellezza dei bambini e dei ragazzi. Un progetto coordinato di pastorale dei ragazzi deve investire su di loro, non perché animatori di domani, ma perché fin da oggi cristiani in cammino dentro una comunità e “animatori” dal di dentro delle realtà in cui vivono.
Intervento di Silvia Corbari al seminario di studio L’ACR e l’Oratorio nella vita delle chiese locali svoltosi a Gussago (BS) il 4 Novembre 2006
Per trattare l'argomento che mi è stato affidato, prendo spunto da Progetto Formativo dell'Azione Cattolica, inquadrando il tema a partire da due premesse.
La prima riguarda il carisma, la missione, il compito primario dell'Associazione: la partecipazione alla missione della Chiesa.
Nel PF, leggiamo che
Il carisma dell'AC è quello di laici dedicati, in modo stabile e organico alla missione della Chiesa nella sua globalità. Dedicati è un termine intenso, che dice legame spirituale e insieme affettivo; dice impegno concreto; dice di un servizio che nasce dall'amore e si alimenta di corresponsabilità, con cuore di figli. L'essere dedicati indica una scelta di vita, non episodica, ma permanente, un'attenzione rivolta a tutta la comunità e capace di assumere impegni concreti in risposta alle esigenze del luogo e del tempo. In AC si vive per e nella Chiesa, facendo della vita di essa l'oggetto della propria dedizione.
La Chiesa cui l'AC si dedica è in primo luogo quella diocesana… Il legame con la Chiesa diocesana vive giorno per giorno nella parrocchia, in essa l'AC sperimenta la concretezza di una Chiesa da amare ogni giorno nella sua realtà positiva e nei suoi difetti; da accogliere e sostenere; da sospingere al largo e da servire con umiltà.
E' all'interno di questa missione che l'AC si pone al servizio della Chiesa, in particolare di quelle esperienze semplici e quotidiane che sono le nostre parrocchie, quelle di 500 abitanti, come quelle di 5.000, quelle ricche di risorse, come quelle povere e limitate. Credo sia esperienza di molti di voi la dedizione alla parrocchia, che significa impegno all'interno dell'oratorio, nel servizio quotidiano, nell'attenzione alle persone, nella preghiera per i nostri parroci, per i ragazzi che ci sono affidati, per le loro famiglie, per il territorio in cui viviamo.
Per noi l'ACR vive in oratorio e qui si assume la condivisione del compito globale della formazione e della missione della Chiesa.
Una seconda premessa riguarda il compito missionario della Chiesa.
L'abbiamo già sentito in altri interventi questa mattina, e mi sembra necessario ribadirlo: essere nella Chiesa significa sentire il desiderio di annunciarlo, di aderire a quel compito missionario che ci spinge a “gridare sui tetti” il grande annuncio che abbiamo ricevuto.
Nel PF, leggiamo che
Siamo missionari con le nostre comunità, aiutandole ad aprirsi, ad accogliere, a rendersi più sensibili alla vita delle persone. solo quest'attenzione e amore per le persone e per la Chiesa possono portare a riscoprire la valorizzazione della VOCAZIONE EDUCATIVA.
Nella difficoltà di scoprire e sostenere oggi autentiche vocazioni educative, l'AC propone di confermare la formazione delle persone, affinché diventino capaci e sentano quasi la necessità dell'annuncio, il desiderio di portare agli altri la scoperta della fede.
L'educatore allora è una figura decisiva , non perchè dà forma, ma perchè suscita; non perchè si sostituisce nelle decisioni, ma perchè propone e sollecita.
In questo modo sa essere stimolo per l'incontro delle persone con il Signore, in ogni loro personalissima strada.
Ma negli Oratori, quale modello di educatore propone l'AC oggi?
Anche in questo il Progetto Formativo ci viene in aiuto, perché indica alcune caratteristiche, che, per noi, diventano obiettivi a cui tendere nella formazione delle persone.
è innanzitutto un testimone: della fede che comunica, della Chiesa di cui è parte, dell'associazione cui aderisce. Per questo è impegnato ad avere cura della propria fede, a crescere insieme alle persone che gli sono affidate. Egli vive con intensità il cammino della sua comunità ecclesiale e ha fatto dell'Azione Cattolica una scelta motivata e decisa;
Il mettere al centro la testimonianza ci porta a dire che la formazione va orientata non solo verso alcune competenze tecniche, relative alla gestione delle attività, dei gruppi, alle capacità animative o aggregative. Il Testimone educatore è colui che sa rendere visibili le scelte di fede e le sa trasmettere. Nel concreto, siccome questo cammino di crescita è continuo e ci porta a dire che non siamo mai arrivati, l'educatore è colui che si pone al fianco e condivide una parte di cammino con i ragazzi, accettando di mettersi in discussione, donando il proprio tempo, le proprie risorse, le proprie certezze e le proprie fatiche, condividendole con altri, anche con i ragazzi, cercando di essere coerente e di proseguire nel suo cammino con loro.
Credo sia esperienza di tutti vedere come i ragazzi siano uno stimolo alla nostra vita di fede, ci mettono in discussione, ma ci offrono anche una grande opportunità per rinsaldare la nostra fede. Per loro noi siamo un esempio, un punto di riferimento, e proprio per questo abbiamo il compito di accompagnarli e sostenerli nello stesso cammino che anche noi abbiamo fatto e stiamo facendo.
Allora il PF ci richiama ad alcune caratteristiche dell'educatore di AC, che commento brevemente:
Ha compiuto scelte di vita e di fede
ha compiuto un personale cammino di fede e ha operato scelte importanti: di vita, di studio, di professione. La sua credibilità passa attraverso un'esperienza che personalmente vive con convinzione e con consapevolezza. Per questo non può avere meno di 18 anni e deve aver maturato una scelta stabile di vita cristiana. E' possibile che un adolescente viva qualche forma di servizio educativo, condividendolo con educatori più maturi ed esperti, qualora ciò lo aiuti a maturare scelte di dedicazione agli altri e a verificare le personali attitudini ad un servizio educativo più maturo e stabile.
Parliamo quindi di educatori che, se non altro, si sono messi in un cammino di ricerca serio relativamente alla propria esperienza cristiana. In Consiglio Nazionale abbiamo discusso a lungo sul tema dell'età. Certo, l'età non è l'unico indicatore della maturità di una persona, ma rappresenta comunque l'intenzione di porre un punto fermo, relativamente all'esperienza educative, sia dalla parte degli educatori che dei ragazzi. Capita, infatti, che la proposta di essere educatore sia rivolta agli adolescenti in forma strumentale, come occasione di una loro formazione; allo stesso tempo i bambini si trovano bene con educatori più giovani, perché, a volte, questi si pongono quasi al loro livello. Allora, in entrambe le situazioni, l'esperienza educativa non è più un servizio, ma viene vista in termini strumentali: strumentalizza i bambini nei confronti della formazione degli educatori, strumentalizza gli educatori, perché così i bambini sono contenti… alla fine la stessa proposta rischia di implodere.
C'è quindi bisogno di trasparenza, della chiarificazione degli obiettivi che ci si pone: l'adolescente può trovare giovamento nell'impegnare un po' del suo tempo a favore del servizio educativo, ma in questo deve essere aiutato a rielaborare le esperienze e ad inquadrarle in un vero cammino di crescita.
L'educatore di AC è espressione dell'associazione
è parte viva di una comunità e di un'associazione, che esprime attraverso di lui la propria responsabilità educativa. Non si è educatori in proprio né in forma solitaria, bensì sentendosi espressione e parte di un'esperienza comunitaria più grande che aiuta e sostiene e davanti alla quale si è responsabili. È necessario che l'assunzione di responsabilità educative scaturisca da una scelta del Consiglio parrocchiale di AC e che tutta l'associazione esprime così la propria progettualità educativa, stando vicino a chi opera direttamente;
L'AC diventa una grande risorsa, che mette in relazione persone di diverse età, che fa sperimentare da subito il senso della comunità. Attraverso l'esperienza del Gruppo Educatori, inoltre, l'AC ci aiuta a condividere la responsabilità educativa che, all'interno dell'Oratorio, come di ogni organismo pastorale, è la premessa per credere in un progetto educativo. Anche laddove il GE non è presente, è comunque importante sperimentare o strutturare proposte di confronto educativo, dal momento che questo ci aiuta notevolmente a indirizzare anche il nostro progetto sui ragazzi e su noi stessi.
Per questo l'educatore sa ascoltare lo Spirito
sta in ascolto dello Spirito, perché crede che sia Lui il regista dell'azione educativa. Di essa l'educatore è testimone; per la sua efficacia, crea le condizioni adatte;
Dal punto di vista del metodo, allora è capace di relazione
è capace di relazioni discrete e propositive: discrete, perché non si sostituisce allo Spirito e alla responsabilità di chi deve compiere le proprie scelte di maturità; propositive, perché la libertà delle persone è suscitata anche dal fascino di stili di vita belli e attraenti e al tempo stesso indicati come possibili dalla testimonianza di chi ha già compiuto una parte di cammino;
L'azione di un educatore si pone all'interno di una RELAZIONE che io definirei con tre aggettivi: intenzionale, perché scelta, reciproca, perché, come abbiamo già detto, cambia le persone, se sincera, gratuita.
Su quest'ultima caratteristica mi soffermo dal momento che sempre di più oggi c'è bisogno di persone libere, che donano energie per gli altri in termini di servizio gratuito. La gratuità oggi richiede non tanto risorse materiali, quanto di tempo, di testa, di relazione.
Infine l'educatore di AC ha quindi SCELTO il servizio educativo
non come un impegno fra i tanti, ma come un'esperienza che coinvolge in maniera forte la sua vita, come risposta ad una chiamata al servizio della crescita dei propri fratelli. Educare è un'esperienza affascinante e grande: oggi più che mai sono necessarie persone che scelgono di dedicare un periodo prolungato della loro vita all'educazione delle nuove generazioni o degli adulti, con una scelta specifica, per la quale mettere a disposizione tempo ed energie, anche per acquisire competenze sempre più qualificate.
In conclusione, come facciamo a non innamorarci di un progetto di educatori così?!
Come facciamo a pensare che in Oratorio non ci sia posto per un educatore così?!
L'AC allora rappresenta una risorsa per l'Oratorio perchè
Di fronte alle nuove sfide della crisi educativa, del rapporto con la famiglie e le famiglie, della nuove evangelizzazione, della ricerca di un progetto unitario a fronte di una frammentarietà di progetti anche nella Chiesa l'Azione Cattolica si propone come un'esperienza di servizio che unifica e con umiltà, cresce nell'Oratorio e con l'Oratorio.
Intervento di Paola Bignardi al seminario di studio L’ACR e l’Oratorio nella vita delle chiese locali svoltosi a Gussago (BS) il 4 Novembre 2006
Quanti come me sono cresciuti nelle terre della bassa lombarda hanno nella loro memoria un oratorio: un cortile, un campetto per partite di pallone appassionate o per noi ragazze per svariati giochi a palla, magari dai con nomi meno nobili e professionali di quelli di oggi; hanno nel cuore il ricordo di persone adulte - qualche prete, qualche compagno di giochi più grande, qualche adulto che sapeva giocare con noi e che sapeva ascoltarci e darci insegnamenti di vita che non ci risultavano troppo difficili, perché li vedevamo interpretati nella pratica e nell'esempio.
Crescendo, alcuni di noi hanno preso il posto di questi fratelli adulti, e abbiamo potuto capire dall'interno, stando dall'altra parte, la passione che li animava e che li portava a passare con noi ore e ore, a volte in attività da niente, a volte negli impegnativi dialoghi della vita con cui ragazzi e giovani pensosi sanno impegnare i più grandi.
L'oratorio - si chiami in questo modo o in altri - è nella tradizione delle parrocchie di tante zone del nostro Paese, espressione della consapevolezza di quanto sia delicata e bella la stagione dei primi anni della vita; espressione dell'amore per i ragazzi e i giovani, del desiderio di accogliere, di comunicare una visione grande della vita, di esercitare quel compito educativo al quale non bastano né la famiglia né la scuola. Espressione della carità della comunità cristiana, l'oratorio ha espresso e continua ad esprimere la sua passione per la persona, la fiducia e l'interesse per le nuove generazioni, il desiderio di aprire loro gli orizzonti di una vita carica di significato, di libertà, di passione per gli altri.
La passione per gli altri, gli ideali di solidarietà: di questo è prima di tutto espressione l'educazione. Nell'oratorio si sommano due tratti della tradizione cristiana: il senso del valore di ogni persona e la solidarietà. È solidarietà che si fa servizio alla crescita della vita dei più giovani nella libertà, nella responsabilità, nell'amore dei sentimenti nobili e delle cose belle. Amore alle persone, amore ai giovani, senso del servizio alla vita dell'altro, solidarietà.
Vorrei citare qui un passaggio del Diario di A. Marvelli che mi sembra dica bene questa sensibilità: “Non credere di perdere il proprio tempo trascorrendo anche delle ore con i bimbi, cercando di divertirli e renderli più buoni. Gesù stesso li prediligeva e li voleva vicino a sé. E le parole buone dette a loro non saranno mai troppe”. L'oratorio nasce da un mondo di valori, esperienza di gratuità, di volontariato, di servizio.
La natura educativa dell'oratorio fa sì che esso sia esperienza di tutti e per tutti.
Quanti di noi lo hanno frequentato, sanno di aver incontrato all'oratorio amici di ogni tipo: quelli che andavano a catechismo e anche quelli che non ci andavano; quelli che a scuola andavano bene e anche gli altri: anzi, gli altri ci andavano di più, perché non studiavano! Sanno che all'oratorio hanno sempre trovato qualcuno che gli chiedeva qualcosa di più, a tutti. Soprattutto che gli chiedeva di fare un passo avanti verso gli altri, verso i più poveri: l'oratorio spesso è stato luogo di accoglienza dei più poveri, dei discoli, di quelli che non andavano bene a scuola…
Vorrei usare due immagini per descrivere la realtà dell'oratorio:
Ai giovani oggi la comunità cristiana non può offrire solo la celebrazione eucaristica o l'aula di catechismo, ma deve offrire un tessuto di relazioni, aprire spazi di incontro, mettere a disposizione comunità educanti e ambienti in cui i giovani si sentono accolti perché sono giovani, in cui possono incontrarsi ed esprimere la loro originalità con cammini innovativi di fede nella creatività delle espressioni artistiche, nel coinvolgente linguaggio musicale, nell'impegno sportivo e atletico, nei percorsi dei pellegrinaggi e del turismo, nel vasto campo delle nuove tecniche di comunicazione, in tirocini severi di disponibilità e di servizio, nell'accoglienza di tutti i nuovi giovani di altre nazioni che popolano le nostre comunità. La cura dei giovani esige che ogni comunità crei spazi di aggregazione. Le grandi tradizioni educative degli oratori e centri giovanili ci dicono che offrire questo ai giovani non come prolungamenti della sacristia, né come adattamento alla povertà della strada, ma come “ponti tra la chiesa e la strada”, è una via decisiva per aiutare tanti giovani ad approfondire domande, a fare esperienze e tirocini di vita comune e solidarietà, a dare risposta alla spiritualità che è bene prezioso per ogni uomo e per ogni civiltà.
Gli oratori hanno bisogno di fare un salto di qualità nel tornare ad essere veri spazi aggregativi.
La realtà dell'oratorio è, dunque, un'esperienza radicata nella tradizione educativa delle nostre comunità parrocchiali: là dove il Vangelo “fa casa con l'uomo”, la presenza della Chiesa diventa attenzione educativa, e cioè amore per la crescita e la maturazione di libere coscienze adulte, la promozione di una pienezza della vita cristiana che non è altra cosa dalla pienezza in umanità, perché è Cristo che “svela l'uomo all'uomo”
È il frutto di un modo originale di organizzare nel territorio la presenza dell'attenzione educativa della comunità cristiana, caratterizzato da una complessa e articolata geografia delle esperienze, generato soprattutto dalla gratuità di tanti adulti e giovani che dedicano non solo un po' di tempo, ma una parte della propria vita per fare di un oratorio un luogo accogliente verso tutti, in primo luogo i più deboli, i più poveri, gli stranieri.
È bene dirlo subito: ciò che per noi dà valore all'oratorio non sono le strutture adeguate, ma le persone qualificate; siamo disposti a rinunciare alle prime, ma non possiamo fare a meno delle seconde!
Gratuità e stile del volontariato, diversità territoriale, attenzione educativa e promozione umana: queste le coordinate che sostengono un'esperienza che si configura come “bene per tutti”.
C'è, quindi, un valore autenticamente collettivo nella proposta dell'oratorio che, ne siamo convinti, è risorsa per la crescita di una società civile che riconosce il valore della sussidiarietà come fondativo nel suo patto costituzionale.
Il progetto educativo dell'oratorio, nella varietà delle esperienze, è per tutti!
È un'offerta che promuove la pluralità. Ed è singolare, perché origina da un'esperienza e da una storia ben identificate; è plurale poiché è un progetto aperto a chiunque voglia parteciparvi, anche per poco. Mi vengono in mente i tanti oratori, ad esempio nei piccoli comuni, che si propongono come centro di aggregazione e come crocevia per l'esperienza di molte persone, soprattutto giovani, che per un tratto di strada delle propria vita entrano in contatto con tale proposta educativa.
L'attuazione della legge 206/2003 promulgata dalla Stato italiano e delle sue diverse regolamentazioni regionali saprà tener conto di ciò? Saprà rispettare e promuovere la singolarità e l'originalità della proposta? Saprà iscrivere questa attenzione all'interno di una più ampia cura del mondo dei ragazzi e dei giovani?
Ci piace pensare che l'acquisizione culturale che sta alla base del Legislatore nel suo sancire un riconoscimento dell'esperienza oratoriana, prenda forma all'interno di una cultura istituzionale e, direi costituzionale, che valorizza il “corpo sociale” in tutte le sua articolazioni ed espressioni, che ne promuove la vivacità, la cui assenza costituirebbe un vero e proprio impoverimento per la convivenza democratica. In qualche maniera una sfida per chi amministra e rappresenta la cosa pubblica, che dovrà allenarsi alla sapienza del rispetto delle identità specifiche per accrescere e moltiplicare il valore della comunità; ed una sfida per il mondo del volontariato e per la realtà ecclesiale che dovrà continuamente misurare la propria progettualità secondo quel crinale del rispetto della laicità dello Stato, valore fondante del confronto democratico e della ricerca del bene comune che è alla base dell'impegno sociale e politico dei cattolici in Italia dal dopo guerra ad oggi.
È bene affermare che, e sono certa di interpretare il pensiero di molti in associazione e oltre, ridurre tale riconoscimento ad una mera concessione di spazi e di risorse, sarà un vero arretramento nello spirito originario della legge.
È necessario che nel rapporto con l'ente pubblico la comunità cristiana conservi all'azione educativa svolta in oratorio l'originalità che la qualifica come da oratori, espressione della comunità cristiana:
che resti rivolta a tutti, a tutti i ragazzi di tutte le condizioni, soprattutto ai più poveri, quelli che non hanno altre opportunità: gli stranieri, i poveri, quelli che si portano dietro e dentro storie difficili di famiglie che li hanno amati troppo pochi o che li hanno costretti ad affrontare problemi troppo duri per la loro età;
che abbia non nelle strutture, ma in vere figure educative il riferimento forte di ogni progetto: l'oratorio non può mai diventare solo luogo: deve sempre essere e restare incontro di persone, spazio di proposta, luogo in cui le persone escono diverse da come sono entrate, perché arricchite da una proposta che le ha aiutate ad essere più ricche.
Che abbia il proprio di più in quella creatività che cerca di rendere la proposta educativa per i ragazzi e per i giovani fantasiosa, ricca: una proposta che abbia l'eccedenza dell'amore per i giovani che nella gratuità genera la novità;
Che sappia farsi punto di riferimento per un'attenzione di tutte le istituzioni alla vita e alla crescita delle nuove generazioni. E' necessario un rapporto definito e coraggioso con il territorio e quindi con tutte le leggi (cfr. 285 e 328) che favoriscono una progettualità comune. La presenza nei nostri oratori di alcuni Centri di Aggregazione Giovanile, come spazi aggregativi di giovani entro un progetto dell'amministrazione pubblica nei confronti della realtà giovanile con progetti educativi propri, è un fatto importante che dice la possibilità di interagire. L'oratorio può diventare punto di partenza di una costituente educativa, dove tutti quelli che hanno a cuore le giovani generazioni possono mettersi a disposizione per offrire ai giovani il meglio per il loro futuro.
I nuovi programmi scolastici aprono nuove prospettive di collaborazione. Il dialogo con il territorio, che parte anche dalla convinzione di non essere autosufficienti nell'educare, esige un grande rispetto dei fini che ogni realtà persegue. L'esperienza di questi anni, penso per esempio a tutte le settimane estive, vede già da tempo interessanti esperienze di collaborazione con le amministrazioni locali, e una crescita di collaborazione tra genitori per il bene dei loro figli.
Il riconoscimento dello Stato ci sollecita ad un'etica della relazione con l'ente pubblico, ad esplicitare alcune regole di comportamento che mi pare possano configurare un corretto rapporto nell'attuazione di questa legge: la competenza nella elaborazione e nella attuazione dei progetti educativi; l'assoluta trasparenza nell'utilizzo del denaro pubblico; il rigore nel rinunciare a far apparire i progetti più belli o più importanti di quello che sono; la tentazione di credere che ciò che facciamo da soli sia meglio di quello che facciamo in sinergia con altri…
Infine, credo che sia fondamentale, proprio in questo momento in cui la legge ci dà un riconoscimento che agevola l'attività degli oratori e la loro progettualità, non rinunciare al segno della gratuità, come stimolo a non rinunciare mai al tratto più caratteristico dell'azione educativa dell'oratorio: quella di essere espressione della cura di una comunità viva. Mentre lo Stato agevola l'attuazione di progetti educativi attraverso convenzioni e contributi economici, vorrei che la comunità cristiana conservasse qualche scelta ad indicare il suo gratuito continuare a prendersi cura delle nuove generazioni. Questo mi sembra garanzia che la sinergia con l'ente pubblico avviene sempre nel rispetto della nostra originalità e come espressione di quella libertà che impegnerebbe comunque l'oratorio a prendersi cura dell'educazione delle nuove generazioni, come sua tratto costitutivo e irrinunciabile.
<note important>Al documento, presente sul sito nazionale dell'Azione Cattolica, non è associata una particolare licenza.
Si presume, quindi, che si applichi quella del sito: Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Condividi allo stesso modo 2.5 Italia.</note>